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La pianta di canapa
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Filare la canapa: una ricerca che parte dal campo a arriva al filatoio

Il miglioramento genetico della pianta con la Carmaleonte, la baby canapa e il complesso processo di filatura: tentativi per facilitare la lavorazione della fibra, la macerazione microbiologica e la trasformazione 

La pianta di canapa è sottoposta a un martirio per trasformarsi in fibra

L’industria tessile rappresenta una delle più articolate e lunghe catene produttive del settore manifatturiero. In l’Italia c’è una tradizione dedicata a questa lavorazione. Nel 1943 gli ettari coltivati a canapa erano centocinque mila, al secondo posto dopo la Russia nel mondo. Nel 1970 gli ettari coltivati diventarono mille. L’inversione di tendenza italiana è da rintracciare nella competizione con le altre fibre (naturali e sintetiche) che sono state sviluppate in quel periodo storico – subito dopo la fine della Seconda guerra mondiale – nella lavorazione che richiede la pianta (dal campo alla filatura) e nella volontà di fare spazio a nuovi interessi industriali.

Le potenzialità della canapa sia per uso tessile che per uso alimentare, farmaceutico e per materiali compositi, bioedilizia e cellulosa hanno riacceso l’interesse verso questa coltura. Nei primi anni Duemila sembrava che ci fossero diverse iniziative concrete volte alla ripartenza della filiera produttiva ma le difficoltà tecniche, gli insufficienti investimenti economici e l’altalenante interesse da parte dello Stato non hanno prodotto il risultato sperato. 

A oggi in Italia non esiste una filiera completa della canapa per il tessile

Il Linificio Canapificio Nazionale ha avviato dei progetti sperimentali e continua a essere l’unica filatura in grado di lavorare la canapa per ottenere un prodotto filato di alto livello (anche se dal Linificio Canapificio Nazionale alcuni passaggi di filatura non sono realizzati in Italia, ndr). Per capire quali sono le problematiche che riguardano la trasformazione della canapa bisogna partire dalla selezione della varietà di canapa da piantare in campo. La canapa appartiene alla famiglia delle Cannabinacee che rientra nell’ordine delle Urticales.

Le Urticali sono piante legnose ed erbacee, con fiori poco appariscenti. La canapa inoltre ha una crescita rapida e può arrivare fino a cinque metri di altezza. Più la maturazione della pianta prosegue, maggiore sarà la durezza del fusto della pianta. Lo stelo della pianta è cavo e presenta internodi lunghi quaranta-cinquanta centimetri. La forma e la grandezza dello stelo dalla base all’apice varia a seconda della crescita della pianta. 

Le varietà dioiche più coltivate in Italia fino agli anni settanta sono la Carmagnola, CS e Fribranova

Con la normativa comunitaria del 2001 si è stabilita la percentuale massima di thc presente nella canapa, pari allo 0,2%. «Le varietà italiane utilizzate al naturale sforavano di poco quel livello che all’epoca era 0,3», spiega Gianpaolo Grassi, primo ricercatore scientifico del Crea di Rovigo (fino ad aprile 2020) ed esperto di genetica della canapa da più di venticinque anni. «Era necessario un lavoro di miglioramento genetico della pianta. Per il tessile in particolare, occorre avere una pianta con uno stelo a rapida macerabilità (la macerazione è un passaggio imprescindibile per la lavorazione tessile della canapa ndr) con una bassa concentrazione di sostanze collose leganti con la corteccia», spiega Grassi. Dopo anni di ricerche e sperimentazioni, è realizzata una varietà ideale per il tessile, la Carmaleonte.

«Le varietà dioiche (metà maschili e metà femminili ndr) hanno una disomogeneità della materia prima e questo è uno svantaggio per il settaggio delle macchine di lavorazione. Così pensai di fare una varietà a rapida macerabilità (come la varietà Camaleon, così chiamata per la variazione del colore della pianta da verde a giallo quando matura ndr) ma monoica (ermafrodita) tale da avere una omogeneità nella fibra e unirla a una varietà adatta alle nostre condizioni climatiche (la Carmagnola ndr)».

Questa varietà di canapa può macerare direttamente in campo – a condizioni climatiche favorevoli – in tempi inferiori rispetto ad altre varietà (riducendo di quattro-cinque giorni i tempi di attesa). «La Carmaleonte è stata brevettata e registrata me nessuno l’ha utilizzata perché una volta pronta non c’erano più progetti a cui destinarla. Mandai dei campioni al Linificio Canapificio Nazionale e mi dissero che la fibra aveva una buona qualità, ma non c’era nessuno che potesse utilizzarla», sottolinea Grassi.

Leggendo oggi dei testi riferiti alle possibilità di sviluppo della canapa tessile dei primi anni duemila si notano quasi le stesse difficoltà e gli stessi impedimenti tecnici allo sviluppo anche se sono passati più di quindici anni. «In Italia la canapa ha avuto difficoltà di avanzamento perché non c’è mai stato un interesse serio da parte delle Istituzioni, è prima di tutto una questione economica e politica. Bietola, tabacco e pomodoro sono colture che hanno avuto momenti di gloria nel Paese perché c’è stato un contributo e un sostegno da parte dello Stato ma senza di esso, servono investitori e imprenditori che si dedichino alla causa»

In passato ci sono stati tentativi (investimenti e ricerche da parte di privati e centri di ricerca) che hanno cercato di semplificare la raccolta e la lavorazione della pianta per il tessile, come il caso della baby canapa. Si tratta di una particolare tecnica di coltivazione che prevede la semina di varietà precoci ad altissima intensità (fino a cento chili di semente per ettaro) e la successiva raccolta precoce ad altezza non superiore ai centoquaranta centimetri.

Questa ridotta altezza della canapa permette di utilizzare le tecniche di meccanizzazione usate per il lino, che raggiunge quella lunghezza e per il quale sono già operativi i macchinari necessari per la sua trasformazione. La coltura di baby canapa include anche il trattamento con un disseccante (glifosate) per arrestare la crescita della pianta e facilitare la raccolta e la macerazione omogenea. La baby canapa non ebbe il successo sperato a causa degli elevati costi per i coltivatori e una resa inferiore rispetto ai calcoli previsti.

La macerazione della baby canapa avviene in piedi (standing) mentre le altre varietà di macerazione sono fatte a terra, direttamente in campo – o in vasche industriali

In quest’ultimo caso ci può essere (a) una macerazione chimica che prevede l’aggiunta di soda all’acqua di macerazione e causa problematiche ambientali –  (b) una macerazione bio-enzimatica che prevede aggiunta di funghi e batteri all’acqua – (c) una macerazione microbiologica che prevede l’aggiunta di batteri. Il progetto Caterpillar (Canapa tessile per la produzione di alimenti funzionali e di biomasse proteiche per l’alimentazione animale) finanziato dalla Regione Emilia-Romagna nell’ambito del Programma di Sviluppo Rurale 2014-2020 utilizza la macerazione microbiologica. La fibra macerata è ripulita in vasche da larve del dittero Hermetia illucens mentre la biomassa larvale ottenuta è utilizzata per la produzione di additivi per l’industria mangimistica

Il responsabile scientifico del progetto, che si propone di «diversificare la produzione ed aumentare la redditività della coltura della canapa, generando nuovi sottoprodotti ad elevato valore aggiunto ed aprendo all’azienda agricola l’opportunità di ingresso in nuovi mercati», è il Centro di Ricerca Genomica e Bioinformatica del Consiglio per la Ricerca in Agricoltura e l’Analisi dell’Economia Agraria (CREA) con la partecipazione del Centro Interdipartimentale sulla Sicurezza, Tecnologie e Innovazione Agroalimentare dell’Università di Parma (SITEIA-UNIPR) e di aziende agricole e imprese dedicate. Tra queste l’azienda Naturfibre, produttore e rivenditore ufficiale di sementi autorizzate e prodotti della canapa e costola di Tecnocanapa, azienda dedicata alla creazione di impianti per la trasformazione della canapa (come il primo impianto di trasformazione della canapa installato in Puglia lo scorso 31 ottobre). 

Come si passa dalla fibra al tessuto?

Dopo essere stata macerata la canapa (che è una fibra liberiana: fibra vegetale derivata dalla parte esterna dello stelo della pianta) è raccolta in fasci per essere stigliata – cioè deve passare attraverso un macchinario che separi la fibra dal canapulo. «A oggi in Italia – come centro di produzione che trasforma le fibre in filati fini di qualità per abbigliamento e arredamento – esiste solo il Linificio Canapificio Nazionale», racconta Giorgio Rondi, Linen and Hemp Technologist Manager.

«Indispensabile, per ottenere un prodotto confacente al tessile di qualità sono la fase di macerazione in campo e quella meccanica di stigliatura. Per tale operazione servono impianti che devono trovarsi entro un raggio di cinquanta chilometri rispetto al luogo di coltivazione (per non trasformare i costi di trasporto in una spesa insostenibile ndr). Lo stelo macerato per essere lavorato in stigliatura non deve superare la lunghezza di un metro, un metro e dieci perché per la trasformazione in filato della fibra lunga della canapa si usa il processo di lavorazione del lino, e a tutt’oggi non è disponibile macchinario agricolo efficiente dedicato alla falciatura e taglio degli steli. Motivo per cui non vi è in Europa canapa tessile lungo tiglio di qualità», spiega Rondi. 

Una volta divisa la parte legnosa da quella fibrosa si ottiene un tappeto di fibra tecnica, ultimo step della fase agricola

«Raccolto in rotoli questo tappeto è poi inserito nella linea di pettinatura, una serie di macchinari in linea, lunga più di trentacinque metri, ove le fibre tecniche sono parallelizzate, separate in cioppe e all’uscita sovrapposte per formare un nastro. Durante la pettinatura la resa è elevata perché da una parte andrà il lungo tiglio (parte più nobile per filati di qualità) e dall’altra la fibra corta (le stoppe). Queste non sono scarti ma un sottoprodotto che diventerà materia prima per altri scopi (mischie tessili, bio-edilizia, materiali compositi, carta ndr)», continua Rondi. «All’uscita dalla pettinatrice si avranno nastri omogenei che dovranno essere accoppiati e stirati per regolarizzarli ed affinarli; successivamente al banco a fusi il nastro sarà torto e avvolto su spola. Il nastro trasformato in stoppino è il prodotto finale della preparazione alla filatura». 

Lo stoppino a bassa grammatura è pronto per andare in bollitura all’interno di vasche apposite che prevedono acqua in temperatura e soda. «In questa fase si agisce per scollare ancora le fibre tecniche sciogliendo i legami che uniscono le fibre elementari. Lo stoppino bollito è così pronto per essere filato. Il filatoio è alimentato dallo stoppino, che introdotto in vaschette con acqua, sarà stirato per raggiungere il titolo ideale per un tessuto di alta qualità. Durante la fase di stiro al filatoio si producono rotture che necessitano un intervento manuale di riattacco del filo», evidenzia Rondi.

Dopo l’asciugatura si confezionano le rocche di filato per la tessitura, processo controllato elettronicamente. La filatura della canapa, così come quella del lino richiede competenze e preparazioni più complesse rispetto, ad esempio, a quella del cotone. L’attenzione rivolta alla fibra di canapa inizia nel campo agricolo, quando si dovranno valutare le dimensioni della pianta e il suo sviluppo e macerazione, passando poi per le classificazioni organolettiche necessarie per consentire corrette melange al fine di ridurre le variabili nel processo di filatura. Oggi in Italia, le persone che sanno come filare la canapa a livello industriale si contano sulle dita di una mano.

Esiste un poema in otto libri dedicato alla coltivazione, al trattamento e alla lavorazione della canapa. Girolamo Baruffaldi pubblicò Il Canapaio nel 1741 a Bologna. 

Canterò la canape e la vera cultura d’ un sì nobile virgulto,
che ne’ campi d’ Italia, e piucchè altrove, nel felsineo terreno,
e nel vicino centese floridissimo recinto, s’ alza e verdeggia,
e selve forma ombrose, quando la stagion fervida comincia
a cuocer l’aria, e finché il Lion rugge nel ciel, dura
Poi recisa in un tratto, e sottopostaa più martirj,
per le man’ villane, in diverse util’ opere si trasforma.

Canapaio di Girolamo Barruffaldi, 1741
Riferimenti bibliografici:
Manuale di coltivazione e prima lavorazione della canapa da fibra, giugno 2007. (Collana ricerca trasferimento e innovazione)

Mariavittoria Zaglio

L’autore non collabora, non lavora né partecipa, non riceve compensi né finanziamenti, da alcuna azienda o organizzazione che possa ricevere vantaggi economici o di sorta dalla pubblicazione di questo articolo.

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