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Ritorcitura Vignolini, un’azienda T-Fashion che realizza le fasi di ritorcitura e filatura fantasia per conto terzi
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Blockchain: tracciare per informare con certificazioni da enti terzi

La lavorazione dei prodotti TAC (tessile, abbigliamento, calzature) in quattro fasi, per ognuna delle quali le aziende devono dichiarare l’origine

TFashion – Traceability & Fashion 

Progetto promosso da Unioncamere e dalle Camere di Commercio italiane, TFashion – Traceability & Fashion è gestito da Unionfiliere, l’Associazione delle Camere di commercio impegnata a valorizzare le filiere del Made in Italy. Avviato fra il 2007 e il 2008, vuole fornire informazioni sulla filiera che sta alle spalle del settore manifatturiero TAC (tessile, abbigliamento, calzature). «Abbiamo suddiviso la produzione in cinque fasi», spiega Alessandra Vittoria, ex direttrice di Unionfiliere ora in Promos Italia. «Prima di tutto il design. In seguito la filatura, che rappresenta la prima fase della lavorazione. La terza è la tessitura: trasforma le rocche di filato in tessuto vero e proprio. Quindi la nobilitazione, che include la colorazione e la rifinitura del capo, e infine la confezione, cioè la cucitura». La certificazione è rivolta alle piccole-medie imprese italiane: «Per ottenerla, devono fornirci informazioni sull’origine di tutte queste fasi, spiegando dove si svolgono». 

Trasparenza della filiera produttiva

Alcuni percorsi possono ripetersi, anche se ogni situazione è a sé: «Il design spesso si svolge internamente all’azienda. La filatura è invece la fase più delicata, perché ormai difficilmente avviene in Italia – anzi, il filato in più occasioni è acquistato: in questo caso le imprese sono tenute a comunicare se comprato da aziende italiane con un processo produttivo in Italia. Tutte le altre fasi – tessitura, nobilitazione e confezione – possono svolgersi sia all’interno della realtà aziendale che all’esterno, attraverso subfornitori». Le verifiche sono compiute sul campo da ispettori del Sistema Camerale: non sono sufficienti autodichiarazioni dei produttori. A questo punto, concluse le ricerche, le aziende possono ottenere la certificazione.

«La si assegna sia in caso di produzione e fornitura tutte italiane, sia in caso di fasi di lavorazione realizzate all’estero». Il punto è la trasparenza nella comunicazione: «L’importante non è realizzare tutto su territorio nazionale, ma comunicare con onestà dove sono presi e acquistati i materiali. Questo approccio ha incoraggiato le aziende a fornire un racconto dei propri prodotti e dei percorsi che compiono». Lo schema di tracciabilità è stato elaborato collaborando con le principali Associazioni nazionali dei settori coinvolti. La certificazione è rilasciata dalla Camera di Commercio, che in quanto ente pubblico ha un ruolo super partes. Da chiarire che il sistema TF è di natura volontaria, non sostituisce le indicazioni obbligatorie per legge. Al contrario le integra con un’etichetta in cui si racconta la storia percorsa dal prodotto durante le diverse fasi della filiera. 

Quanto costa ottenere una certificazione

Chi fra i produttori realizza tutte le fasi in Italia può usare la dicitura 100% Made in Italy nel rispetto delle norme vigenti. La concessione di TFashion, inoltre, non è esclusiva. Non impedisce alle aziende di richiedere un’altra certificazione, nazionale o internazionale. Al tempo stesso la sua applicazione è modulare: non è necessario certificare l’intera produzione, al contrario è possibile limitarsi ad alcune tipologie di prodotto. La certificazione è rivolta alle piccole medie imprese anche per via dei costi contenuti. I buyer e il mercato globale cercano soprattutto le norme ISO 9000, cioè una serie di linee guida sviluppate dall’Organizzazione internazionale per la normazione (ISO), la più importante organizzazione mondiale per la definizione di norme tecniche.

«Così come altre certificazioni, possono essere molto esose. Richiedono inoltre molto lavoro, e non tutte le aziende hanno a disposizione queste risorse», spiega Vittoria. «Dato che il progetto nasce come occasione per rilanciare l’imprenditorialità italiana, i prezzi di TFashion sono sostenuti da Unionfiliere, salvo alcuni contributi richiesti alle singole imprese». Le cifre sono in genere stabili: «Una media di 1500 euro ad azienda. 400 per l’impresa che chiede la certificazione, 300 per ogni fornitore cui si affida». Al momento hanno aderito in totale 400 aziende. Questo contesto ha subito una battuta d’arresto in seguito alla riforma del 2016 che ha coinvolto le Camere di Commercio.

«I finanziamenti sono stati rivisti così come le priorità – tra cui, per esempio, la digitalizzazione. Questo è il motivo per cui al momento non stiamo accogliendo nuove richieste di accesso alla certificazione», spiega Vittoria. Secondo l’ex direttrice di Unionfiliere, è difficile intravedere il futuro della tracciabilità. «Perché rimane un tema complesso sia nella gestione che nella previsione. Soprattutto se si tratta di seguire il percorso delle informazioni, come fa TFashion. I costi non sono pochi, basti pensare alle trasferte necessarie per svolgere le verifiche sul posto per assicurarsi che quanto dichiarato dalle imprese sia vero». 

Blockchain: come funziona

Una possibile chiave per il successo nei prossimi anni potrebbe passare dalla tecnologia, in particolare dai vantaggi determinati dalla blockchain. È definita come un registro digitale le cui voci sono radunate in blocchi concatenati in ordine cronologico. Le informazioni che porta con sé sono immutabili grazie alla crittografia. Una volta introdotti alcuni dati, questi non possono più essere né modificati né eliminati. «Ne parlammo già nel 2015 e pensammo di usarla per ridurre i costi determinati dalle trasferte. Le stesse verifiche potevano essere svolte da remoto e i risultati registrati attraverso blockchain. Di per sé può essere un deterrente alla diffusione di informazioni false: conviene prima di tutto all’azienda dire il vero. Tutto ciò che comunica resta fissato per sempre e se si scopre che non è reale non è modificabile».

Ne esistono diverse tipologie, anche private. Public o permissionless, cioè senza limiti di accesso. Permissioned, vale a dire con una società centrale che stabilisce chi può vedere le informazioni e chi no. Secondo un report del Mise – Ministero dello sviluppo economico – questa tecnologia è ancora poco conosciuta nel campo del tessile. Nel 2019 le aziende del settore ad averla sperimentata erano solo il 5,3%. La maggior parte delle imprese (circa il 69%) non ha in generale mai partecipato a iniziative riguardanti la tracciabilità.

Unendo. la blockchain all’uso di etichette QR code si potrebbe ridurre il rischio di contraffazione e proteggere il Made In Italy di cui le piccole medie imprese sono rappresentanti nel mondo. Il sistema, come scritto nel report redatto dal Mise, consentirebbe infatti di stabilire un collegamento offline-online tra i beni e le loro identità digitali. Il passaggio di un prodotto da un soggetto all’altro della filiera è registrato nella blockchain e reso visibile a tutti. La geolocalizzazione renderebbe chiaro, inoltre, dove viene realizzato e lavorato. 

Digital Passport per il mercato della moda

Una possibile via per i prossimi anni potrebbe essere proprio l’uso di un Digital Passport: una sorta di documento necessario per ampliare il campo di applicazione di TFashion grazie all’intelligenza artificiale e all’uso della blockchain stessa. L’idea è individuare quattro aree ritenute di interesse strategico per qualificare le imprese, soprattutto nei mercati internazionali e nei rapporti con i committenti. Fra le difficoltà insite nella tracciabilità c’è infatti la scarsa propensione delle aziende a promuoverla come trampolino nel campo del marketing. Un’altra criticità, a parte la complessità del sistema, è la mancanza di informazioni che vadano oltre la tracciabilità stessa: per esempio quelle sulla sostenibilità, sulla qualità del prodotto ecc. Il Digital Passport renderebbe standardizzate queste ultime nelle quattro aree individuate: credibilità, sana e prudente gestione, trasparenza, compliance. 

TFashion – Traceability & Fashion 

Progetto promosso da Unioncamere e dalle Camere di Commercio italiane, TFashion – Traceability & Fashion è gestito da Unionfiliere, l’Associazione delle Camere di commercio impegnata a valorizzare le filiere del Made in Italy. Avviato fra il 2007 e il 2008, vuole fornire informazioni sulla filiera che sta alle spalle del settore manifatturiero TAC (tessile, abbigliamento, calzature).

Elisa Cornegliani

L’autore non collabora, non lavora né partecipa, non riceve compensi né finanziamenti, da alcuna azienda o organizzazione che possa ricevere vantaggi economici o di sorta dalla pubblicazione di questo articolo.

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