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Oltre la cancel culture, Francesco Vezzoli: lacrime, video-ricami e classicità

«Ognuno ha la sua educazione culturale, che non può essere sottratta. Nell’antichità ho trovato protezione. Il ricamo una risposta controrivoluzionaria a ciò che mi si chiedeva di essere»

Francesco Vezzoli: gli esordi 

Sembra che sin da bambino Francesco Vezzoli si sia mosso tra binari culturalmente paralleli e solo apparentemente inconciliabili. Dopo gli studi classici, il periodo al Central Saint Martins dove si realizza l’intuizione del ricamo come forma d’arte. «Le mie nonne hanno rappresentato il canale più affettivo e popolare, mentre i miei genitori sono più colti, avanguardisti e sofisticati. All’epoca la Saint Martins era una scuola piuttosto dura, anche rispetto all’espressione del proprio orientamento e del disagio esistenziale. Io non ero abbastanza wild per quell’ambiente. Ero fuori posto all’interno della borghesia bresciana. Non ero sufficientemente tumultuoso per questa scuola londinese. Ci facevano leggere Judith Butler. Feci la tesi di laurea sulle soap opera brasiliane. Ero stato messo sotto pressione per esprimermi su tutto: politicamente, socio-culturalmente, sessualmente. Ricamare è stata una risposta controrivoluzionaria a ciò che mi veniva chiesto di essere. Un mio statement, una queerness all’italiana. Le mie opere avevano come soggetto le dive, ma in quel momento parlavano anche di me». 

Se la prima dichiarazione poetica di Francesco Vezzoli è il ricamo, le lacrime cesellate in lurex che solcano il volto di Anna Magnani o Maria Callas sono la cifra estetica più riconoscibile della sua arte. «La cultura contemporanea tende a rimuovere il dolore. C’è differenza tra la rimozione del dolore e la sua non rappresentazione. Nell’iconografia la lacrima non è quasi mai rappresentata, nei più grandi musei del mondo ci sono pochissime opere in cui compare. Sento di dover compensare la mancanza di lacrime nella storia dell’arte». 

Nel 2013 l’artista presenta al Qatar Museums Authority novanta opere ‘piangenti’ con la mostra Museum of Crying Women, realizzata assieme ad Hans-Ulrich Obrist e Rem Koolhaas. «Ho potuto trattare il tema dell’identità femminile. La sfida era di portare la mia estetica in Medio Oriente. Non hanno censurato le transvestite di Warhol fotografate da Scavullo a scapito di Anna Magnani che si avvicina per baciare Burt Lancaster. È stato interessante per me osservare come il loro retaggio culturale, religioso ed emotivo si confronti con la nostra cultura». 

Il video e l’affinità elettiva con la televisione: la prima videoinstallazione An Embroidered Triology

Il medium del video nell’arte di Vezzoli è una costante, soprattutto tra fine anni Novanta e il primo decennio del Duemila. In conversazione con Germano Celant, l’artista afferma che quando osservò la macabra fotografia With Dead Head (1991) di Damien Hirst, dove l’artista  posa a fianco di una testa d’uomo mozzata, abbia pensato di poter ottenere la stessa intensità artistica se avesse ricamato in presenza di Iva Zanicchi. Ecco che realizza la prima videoinstallazione, An Embroidered Triology (1997-1999), la cui regia era stata affidata a John Maybury, Lina Wertmüller e Carlo di Palma. 

«Queste opere sono entrambe come due autoscatti con la propria icona di riferimento. Per Damien l’ossessione è la morte, per me una certa cultura popolare. Con questa trilogia abbraccio tre icone a me care: Iva Zanicchi, Franca Valeri e Valentina Cortese. Il video rispecchia la mia cultura televisiva che è stata anche oggetto di studio con la mostra TV 70: Francesco Vezzoli guarda la Rai. Oggi la televisione per mezzo dei device, che io chiamerei televisori portatili, è ancora in auge con contenuti di livello».

Dal cinéma-vérité alla TV-verità: il rapporto con Pasolini nell’opera Comizi di non Amore

A partire dal concetto di intermedialità avanzato da Dick Higgins negli anni Sessanta, il video ha dato modo di trasmigrare contenuti televisivi e cinematografici sotto forma di opera d’arte. Con Comizi di Non Amore (2004), all’interno della mostra Francesco Vezzoli. Trilogia della Morte, a cura di Germano Celant, l’artista omaggia i Comizi d’amore di Pier Paolo Pasolini (1964) attraverso un vero e proprio reality show sul modello dei programmi della neotelevisione, tanto da affidarne la realizzazione alla Einstein Multimedia Group, agenzia di produzione televisiva italiana. Comizi di Non Amore è condotto da Ela Weber e presenta un format sul modello del blind date cui partecipano Catherine Deneuve, Antonella Lualdi, Terry Schiavo e Marianne Faithfull e Jeanne Moreau. 

«Fondazione Prada permette agli artisti di realizzare i loro progetti più ambiziosi. Pasolini comprese l’attrazione che le persone possono nutrire per la possibilità di essere di fronte alla telecamera, la loro voglia di visibilità, creando in luoghi pubblici dei capannelli di gente comune. Cercava di documentarne la verità sociale»

La citazione, simulazione e riappropriazione dell’inchiesta cinematografica pasoliniana compiute da Vezzoli appaiono metamorfiche, ma votate al medesimo obiettivo: «anche Comizi di Non Amore è una ricerca di verità e sui processi che mettiamo in atto per trovarla. A me interessava il ‘gioco’ per cui il meccanismo per scovarla fosse falso: al pubblico che ha partecipato alla realizzazione dell’opera avevamo detto che si trattava di uno show televisivo per il sabato sera. Tutte queste persone non hanno mai dubitato della veridicità del contesto, grazie forse anche alla presenza delle star. Quando dovevano salire sul palco per esprimere la loro opinione erano se stessi. Era il clima psicologico creato nello studio che le portava a esporsi con le loro verità».  

L’amore ai tempi di Instagram

Una prosecuzione digitale di Comizi di Non Amore è il progetto digitale Love Stories – A Sentimental Survey by Francesco Vezzoli (2020), una serie di immagini di coppie, cui si aggiunge sempre un sottofondo operistico e un sondaggio dalla modalità escludente, realizzato nel pieno del periodo pandemico sull’account Instagram di Fondazione Prada. «L’amore per se stessi trionfa sulle piattaforme social. Il meccanismo di seguire ed essere seguiti  è simile a quello che negli anni Ottanta ti portava a sedere a un tavolo con determinate persone oppure no. Il seguito che si dà e riceve su Instagram è una dichiarazione di apprezzamento pubblico per un’identità privata. La dinamica è più o meno la stessa dell’amore tra Antonio e Cleopatra o Romeo e Giulietta: narcisismo, ambizione, proiezione ideale della coppia e il bisogno di completarsi nell’altro sono elementi che ritornano e sembrano segnali d’amore, mentre spesso sono segnali di bisogno»

La prima delle cinquanta Stories si apre con la voce di Maria Callas, icona lirica e dell’amore sofferto: «Callas trovò prima un amore paterno in Meneghini per poi innamorarsi di Onassis, guarda caso l’uomo più ricco della nazione a cui lei apparteneva per origini familiari, presentatole da Elsa Maxwell, di lei innamorata e non corrisposta, che la ‘condannò’ a un amore devastante»

La riscoperta della classicità

Dal 2009, con La Nuova Dolce Vita, Vezzoli ha iniziato una ricerca riguardo al rapporto con la classicità, continuata poi con la serie di opere Antique not Antique, Teatro Romano al MoMA PS1 (2014), fino ai più recenti Palcoscenici Archeologici o Francesco Vezzoli in Florence (2021). Questo interesse per l’antico si amalgama con lo “psico-divismo” presente nei precedenti video–ricami dell’artista. 

«Mi sono reso conto che più cresce in me l’interesse per la la storia, più decresce l’interesse per la cronaca artistica. Vivevo e lavoravo in un sistema che mi affascinava, visto da Brescia. Una volta che mi sono ritrovato al suo interno, ho voluto creare un secondo atto della mia ricerca. Tuffarmi nell’antichità è significato proteggermi dietro qualcosa che ho studiato. Va oltre la cancel culture: ognuno ha la sua educazione culturale ed emotiva che non può essergli sottratta. Le prime sofferenze d’amore le ho vissute leggendo Catullo e Saffo, e magari le prime pulsioni di desiderio le avevo avute guardando statue di Prassitele o Bernini. È la verità in cui mi sono rifugiato e con cui propongono un approccio innovativo all’antico: compro statue da Christie’s e Sotheby’s per poi trasformarle artisticamente. È un’opera aperta, il mio secondo atto, che quando si concluderà vedrà l’inizio di un terzo»

Uno sguardo sul mondo e sul sistema dell’arte contemporanea

Nel 2007 Vezzoli rappresenta l’Italia alla Biennale di Venezia con la videoinstallazione Democrazy, di cui alcune espressioni sono state riprese anche da Donald Trump nella sua prima campagna elettorale. Una politica che oscilla tra il la semiserietà camp e l’idiozia: «quando una persona ascolta i discorsi di Putin non riesce a immaginare che un pensiero così assurdo e grottesco sia verità. Pensavo la stessa cosa, con un grado di terrore minore, di Trump. Il linguaggio dei politici più è orientato alla loro urgenza di fare proselitismo, più è inaudibile».

Rispetto al panorama artistico e ad alcune personalità che lo hanno accompagnato nel suo percorso, l’artista afferma: «sono entrato in dialogo con Germano Celant e Ida Gianelli molto presto. Germano era animato da serietà e rigore nell’approccio storiografico, questo suo schema di rigore lo applicava a tutti gli artisti. Ti veniva a “stanare”, dandoti la possibilità di migliorarti. Una figura granitica della storia dell’arte. Personalmente, come creatore di opere ormai mi sento fuori dalla dialettica contemporanea, conosco i meccanismi del sistema ed essendo stato molto precoce nella mia carriera vorrei più andare io adesso a scovare le novità. Novità che mancano, quello che vedo attualmente mi incuriosisce poco. È necessario qualcosa di profondamente innovativo a livello formale, gli NFT sono una mise en abyme». 

«Germano mi disse: se ci metti la tua faccia un progetto ha più valore. Continuo a condividere questa sua opinione, ora più che mai con la realtà digitalizzata che ci circonda. Ciò che infatti resta delle mie performance è l’emozione della mia presenza, di attore maldestro e artista in cerca di una visibilità forse non in grado di sostenere, che connota l’opera e le conferisce uno specifico valore ontologico». 

Progetti futuri

«Sto lavorando a una mostra su Leonor Fini che inaugurerà presto a Milano. La prima monografica su quest’artista dopo vent’anni». L’interesse di Vezzoli anche per artisti del secolo scorso si riscontra già nella sua collaborazione al progetto Come and See: An exercise in description in the absence of originals (2020), promosso dalla galleria Luxembourg + Co, per cui aveva scritto un testo su Domenico Gnoli, il quale, inoltre, lavorò proprio con Leonor Fini durante il suo periodo di attività come scenografo teatrale a Parigi. «Ho sempre avuto una grande passione per l’arte di Gnoli su cui per decenni era stato messo un veto, è il Pietro Germi della pittura». 

Francesco Vezzoli

Francesco Vezzoli (Brescia, 1971) è un artista contemporaneo. Sin dagli inizi della sua carriera instaura una contaminazione tra linguaggi appartenenti sia a una dinamica di citazionismo colto che popolare. La sua arte trova espressione tramite media tra cui il ricamo, il ready-made pittorico, il video, la performance e il coordinamento di specifici progetti artistici. Le sue opere sono state esposte nel mondo presso musei, gallerie, fondazioni e centri d’arte.

Federico Jonathan Cusin

L’autore non collabora, non lavora né partecipa, non riceve compensi né finanziamenti, da alcuna azienda o organizzazione che possa ricevere vantaggi economici o di sorta dalla pubblicazione di questo articolo.

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