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Oliviero Toscani: Schmid, Fiorucci, Vitale e Tompkins. Gli 80 anni del fotografo

Toscani alla presentazione dell’autobiografia Ne ho fatte di tutti i colori. Vita e fortuna di un situazionista. I committenti: «Dei cretini». L’alta moda? «Per ridere»

Oliviero Toscani, il libro Ne ho fatte di tutti i colori. Vita e fortuna di un situazionista

«Ottant’anni. Non ho mai vissuto fino a tanto, è la mia prima volta». Esordisce con una battuta Oliviero Toscani alla presentazione del suo libro Ne ho fatte di tutti i colori. Vita e fortuna di un situazionista. Edito da La Nave di Teseo, ripercorre gli oltre cinquant’anni di una carriera che ha rivoluzionato il mondo della moda e della pubblicità. Toscani si descrive, in modi anche diversi tra loro. Un ‘confezionatore’ di immagini alcuni casi, un situazionista in altri. Soprattutto, un autore. «Il mio è un lavoro non solo di documentazione, come quello del fotogiornalista, ma di creazione. Il fotografo è sempre prima un autore»

Oliviero Toscani alla Triennale di Milano

All’evento di presentazione, alla Triennale Milano, Toscani ha dialogato con il presidente Stefano Boeri e con Giovanna Calvenzi, presidente del Museo di Fotografia Contemporanea. Il libro è stato scritto con gli autori Tommaso Basilio e Raffo Ferraro. «Hanno cucito insieme due anime diverse. Una parte privata e personale, una riferita più al lavoro», racconta Toscani. «Forse per questo il libro ha questa vitalità, ha anche gli sbagli giusti». Il racconto della vita del fotografo è fatto di frammenti e memorie, opinioni e giudizi – anche molto duri – su persone e realtà che ci circondano. Trasmette anche un messaggio sul concetto stesso di fotografia. Propone una visione antropologica. Come ha detto Boeri: «Fotografare non è solo produrre un’immagine bidimensionale. È qualcosa che ha a che vedere con la capacità di percepire le energie della vita».

Gli 80 anni di Oliviero Toscani

Toscani parte da quel 28 febbraio 1942 che lo ha visto nascere a Milano e arriva alle campagne pubblicitarie più famose. I primi capitoli sono dedicati ai genitori. Il titolo della parte del libro dedicata alla madre è ‘Spintifia’. «Era mio padre che la chiamava così. Spitinfia indica qualcuno di molto puntiglioso. Mia madre era un tipo difficile. Sapeva riconoscere le cose di buona qualità con una sola occhiata», racconta Toscani. «La sua maggior preoccupazione era che stessi attento. Non mi ha mai detto ti amo o dimostrato affetto come le mamme moderne, inondandomi di baci. Sono stato fortunatissimo ad avere una mamma così. E, anche se non nel senso che intendeva lei, sono stato sempre molto attento».

Viene presentato poi il papà. Primo fotografo del Corriere della Sera, capofila del fotogiornalismo a Milano, «dormiva sempre con l’orecchio appoggiato alla radio». Fotografò il fascismo e Mussolini, anche se «non gli donava il nero», dice Toscani. A far da sfondo al racconto scorrono le città. Prima su tutte Milano, descritta in modo provocatorio e irriverente: «I posti nevralgici di Milano sono la Bocconi dove impari a essere un delinquente e San Vittore, dove finisci grazie a quello che hai imparato». Poi New York, Londra, Parigi, Zurigo. 

Oliviero Toscani, da Milano a Zurigo: le lezioni di Karl Schmid

È proprio in Svizzera, alla scuola d’arte di Zurigo, che Toscani inizia a studiare fotografia. Qui incontra uno dei suoi maestri, Karl Schmid. «Mi mise alla prova sul disegno e mi regalò una lezione. Mi disse: Non disegnare i corpi, ma piuttosto l’aria che avvolge il corpo. L’aria che c’è fra gli spazi delle cose che vorresti disegnare. Traccia la linea attorno al bastone, al braccio piegato, alla coscia tesa. Concentrati sugli spazi che delimitano la figura. La figura stessa verrà poi per sottrazione. Così ho imparato non solo a disegnare, ma anche cos’è la fotografia. Schmid mi ha insegnato il rigore, la disciplina.  Ma anche che nessun dettaglio è piccolo».

Toscani ricorda il maestro con un aneddoto. Durante le lezioni fuori dall’aula, Schmid portava la classe allo zoo. Qui faceva sedere Toscani davanti alla gabbia di un orso. «Era un animale enorme, che si muoveva e sbracciava in un movimento ciclico. Qui Schmid mi disse di individuare il punto più alto del suo movimento e di provare a fermarlo. Un vero esercizio da fotografo: immortalare l’attimo fuggente». 

Oliviero Toscani, gli amici: da Fiorucci a Vitale

Toscani non racconta solo di sé. Emerge l’amicizia con lo stilista Elio Fiorucci. Di lui dice: «Non era solamente una persona intelligente. Era dotato di una sensibilità e di un’umanità molto profonda, tante volte sfiorava la grande nostalgia. Era un uomo con dei momenti di grande tristezza. Allo stesso tempo, esprimeva questa gioia, proprio in contrasto alla sua natura. Il nostro è stato un rapporto personale oltre che professionale. Bisogna imparare dalle persone con cui lavori. Se non impari niente, smetti di lavorare con quelle persone. Bisogna anche insegnare. Con Elio c’è sempre stato questo scambio di competenze. Le mie erano molto diverse dalle sue. Avevamo anche un modo completamente opposto di reagire agli eventi che ci circondavano», racconta Toscani.

«Abbiamo realizzato molte cose. Ne abbiamo pensate altre che non erano concrete. Non sapevamo cosa volessero dire. È proprio dentro queste cose che si possono scoprire nuove dimensioni. Era questa la bellezza di lavorare con Elio»

Toscani ricorda i suoi committenti. «Mi arrabbiavo perché li reputavo tutti dei cretini. Se si vuole fare un buon lavoro bisogna scegliere committenti intelligenti». Parla di Maurizio Vitale, amico e fondatore dei Jeans Jesus, e della campagna pubblicitaria per il lancio del marchio. Le foto di Donna Johnson di spalle e la scritta ‘chi mi ama mi segua’. «Quella campagna cambiò tutto», ricorda. Tra i capitoli del libro spicca anche quello dedicato a Douglas Tompkins, con il quale Toscani lavorò per anni alle campagne del brand di abbigliamento Esprit.

«Partendo da un negozietto di pochi metri quadrati a San Francisco fondò la North Face. Poi Esprit, con la moglie Susie Buell. Tra noi ci fu un rapporto incredibile, da lui c’era molto da imparare. Aveva fame di capire come funzionava la comunicazione moderna nell’ambito della sua industria. Esprit è stato un pilastro nella moda industriale. Era il mondo che mi interessava. L’alta moda mi interessava per ridere, per fare le foto inutili». 

Oliviero Toscani, un «magütt» della fotografia

Impera l’immagine di Toscani come un artista difficile, ingestibile. Come fa notare Giovanna Calvenzi alla presentazione del libro, «ha sempre avuto delle collaborazioni lunghissime con i suoi clienti. Questo perché ha un atteggiamento professionale di serietà. Poi svanisce non appena inizia a parlare». Per Calvenzi, anche nel libro, Toscani rimane la persona che ha il coraggio e l’incoscienza delle proprie opinioni. La forza di cambiarle. «Ci siamo conosciuti negli anni Ottanta. Facevo la photo editor, ma seguivo anche la parte che riguardava la moda. All’appuntamento per un servizio trovai le modelle già truccate e pronte. Una cosa che non mi era mai successa prima, mentre per Toscani evidentemente era naturale. Sapeva esattamente cosa fare e quando. Era un ‘magütt’ della fotografia, un manovale». 

Il concetto che Toscani ha della fotografia emerge in maniera particolare nell’ultima parte del libro. «Un fotografo contemporaneo deve prima di tutto essere un autore, poi uno sceneggiatore per dare struttura alla storia. Poi deve essere uno scenografo per scegliere il luogo per allestire il palcoscenico. Quindi deve essere un regista: deve dirigere nel luogo la storia che ha sceneggiato. Dopodiché, deve essere un direttore della fotografia: deve scegliere le luci e la composizione. Solo alla fine deve essere l’operatore alla macchina».

Douglas Tompkins

Imprenditore e un ambientalista statunitense. Nato nel 1943, ha fondato a metà degli anni ’60 il marchio di abbigliamento tecnico North Face e poi, con la moglie Susie Buell, il brand Esprit. Nel 1989 si è ritirato dal mondo degli affari per dedicarsi come attivista alla causa ambientale, attraverso progetti di conservazione delle foreste in Sud America. È morto nel 2015 in Cile per un incidente in kayak.

Giorgia Fenaroli

L’autore non collabora, non lavora né partecipa, non riceve compensi né finanziamenti, da alcuna azienda o organizzazione che possa ricevere vantaggi economici o di sorta dalla pubblicazione di questo articolo.

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