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L’hotel ricostruito da Hermès a Milano presso il Teatro Franco Parenti, progetto di Agostino Iacurci, fotografia Lorenzo Palmieri
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Grand Hotel, gente che va, gente che viene sussurrava Greta Garbo nel 1932

Un Grand Hotel popolato di umanità eterogenea è apparso come un sogno tra le mura del Teatro Parenti: un gioco e un’ironia con cui Hermès ha celebrato il negozio di Montenapoleone, tra i primi in Europa per fatturato

Hermès al teatro Franco Parenti

Una serata diversa, calata in una dimensione surreale. Il carton d’invito fregiato di un door-hanger – una lettera di benvenuto firmata dalla direttrice dell’hotel – ha mosso in agitazione molti dei 250 pregati, chiamati a recitare e a interagire con una schiera di attori, figuranti e musicisti. Era richiesta una mise piijama & slippers, per trascorrere una sola notte all’Hotel Il Faubourg.

Fin da principio si innescavano i quesiti, gli equivoci e le ispirazioni di questa residenza alberghiera un po’ déco ma insieme pop, un intreccio di stanze come piccoli mondi a sé dove si succedevano happening e performance inattese. Blow-up a Ruritania, un crocevia di incontri, utopia e note di humour come di prammatica chez Hermès. In fondo un albergo, ieri come oggi, è una sorta di spazio teatrale, un luogo-non luogo devoluto alla socialità, sospeso e onirico, appassionante come un romanzo d’appendice. Un rifugio dalla realtà e un amplificatore di emozioni.

Sorprendeva, appena approdati davanti al teatro milanese, essere accolti da un gruppo di dormen vecchio stile. Il mood tra divertimento, ironia, un pizzico di voyeurismo e una inquietudine di attesa, era subito accresciuto, entrando in questo albergo effimero, nato su un concept di Laure Flammarion, mentre le scenografie sono state dipinte da Agostino Iacurci, artista pugliese basato a Berlino. Come spesso accade, la forma teatrale prescelta giocava sul filo di un’ironia metafisica, mettendo in scena una pièce corale, una rappresentazione in doppio cui la quasi totalità dei partecipanti ha contribuito.

Atmosfera Wes Anderson – le scatole cinesi narrative del suo Grand Hotel Budapest – escursioni alla Schnitzler miscelate a fondali e prospettive illusorie da realismo fantastico, che sarebbero piaciuti a Casorati e Hopper. Fasci di luci ora soffuse, ora fredde e abbaglianti che accarezzavano le livree rosa e arancio dei valet. La concierge curiosa e interrogativa che dal bancone all’ingresso, incastonato in una nicchia, vegliava le chiavi e proponeva cartoline dell’albergo. I groom indaffarati, andavano e venivano trasportando ziggurat di scatole orange Hermès.

L’hotel ricostruito da Hermès a Milano per la notte del 26 novembre 

Nella lobby, sceso lo scalone, un parterre di stravaganti habitué si mescolava ai convitati. Un businessman calato nella lettura di tanti quotidiani, la coppia di tennisti che pareva appena uscita da Anything Goes di Cole Porter, una languida danseuse, un nuotatore piuttosto sperduto in accappatoio in cerca della piscina e la spa-addicted. Mancavano solo i Nicholas Brothers, l’acrobatico duo di danza di Down Argentine Way, musical anno 1940 che consacra Betty Grable e dove per la prima volta negli USA compare Carmen Miranda.

Al centro della sala, un pianista si è esibito per l’intera notte

Un albergo nel quale perdersi più che trovarsi, svelare curiosità, arcani, sognare e immaginare altre realtà. Nella suite 1837 – l’anno di fondazione della Maison – una coppia di camerieri-ballerini rifaceva la stanza a modo suo, esibendosi in una coreografia; nella 12 una signora appena sveglia raccontava i suoi sogni come una profetessa tra Jung e Franca Valeri.

Il sogno come chiave d’accesso ad altro, come antitesi alla limitazione della cronaca quotidiana

La grande suite 24 – ancora una scheggia di numerologia Hermès, ossia il civico della sede principale a Parigi, in Faubourg Saint-Honoré – era stata invasa da una rock band intenta alle prove d’un concerto. Un’amica blasé la vedeva perfetta per mettere in scena un bel Rosenkavalier di quelli transepocali che vanno tanto adesso nei teatri d’opera.

Corridoi che si incrociavano, serrature in cui sbirciare, una temperatura di leggerezza e follia generale che ricordava certe scene de Il Giudizio Universale di Vittorio de Sica, girato in parte in un grande albergo partenopeo nel 1961. Ovunque, sublimati, i segni, i codici, gli oggetti e l’humour inimitabile della Maison.

Don Annibale Brivio Sforza racé in robe de chambre di velluto verde Sargent e la consorte Marta, satin di seta rosa cipria con mascherina nera. C’era Isabelle Clavarino, Laura Sartori Rimini in velvet granato, appena sbarcata da NYC dove sta mettendo su la casa di Marc Jacobs, Lucia Odescalchi. Marta Sala, tranchante e auto-ironica, inalberava un berretto da notte rigato. Qualche signora forse ha esagerato in applicazioni di piume, look troppo pensato e sexyness esibita. Si sprecavano i palazzo pajama d’ogni foggia e colore, oggi fin troppo à la page. Diciamocelo, era la via più breve per rispondere al tema proposto. Altre invece si sono coperte a strati di ciniglia e flanella, bardandosi come andassero al polo quali graziose ziette brit. Milano, per sua natura restia a concedersi troppo, ha risposto bene a questa provocazione. In molti hanno seguito il diktat di un sofisticato déshabillé. I tavoli del dinner, organizzato dentro una sorta di serra, si sono composti e scomposti in una transumanza continua, sotto lo sguardo di Emanuela Schmeidler, pr della serata, da sempre così ostinatamente sgarbata da assurgere ormai a icona meneghina.

Più spiritosi gli uomini, talvolta con esiti esilaranti, in un profluvio di vestaglioni invernali e pigiami ospedalieri, pantofole mordorées, stripes, cache-col e disegni cravatta. C’erano il regista Luca Guadagnino e la ruvida simpatia di Andrée Ruth Shammah. Nicola Porro con signora, al tavolo centrale, insieme ad Amedeo e Domitilla Clavarino.  Giovani leoni come Ludovico Bonaccorsi e Leonardo Balestra di Mottola. Vecchia Milano immarcescibile e nuova Milano affluente. Tutti insieme a tributare omaggio al brand del desiderio, un qualcosa che esula dal significato stesso di moda ma che incarna un approdo aspirazionale, una sicurezza di gusto senza tempo.

Dentro un albergo pop-up che il tempo riusciva a cancellarlo con un colpo di spugna

Deus ex machina Francesca di Carrobio, CEO Hermès Italia, pugno di ferro e sguardo acquamarina, che quella sera sembrava divertirsi parecchio. Dopo il dinner placé e preso un drink al bar, gli ospiti poco a poco hanno lasciato l’hotel.

In uscita ti veniva consegnato un pacchetto contenente l’occorrente per un breakfast delizioso, accentuando la sensazione di sospensione temporale, l’idea di aver davvero trascorso una notte dentro le mura di questo geniale Hotel il Faubourg.

Hermès: il riuso dei pannelli in legno

Hermès, da epoche non sospette attento alla sostenibilità, ha deciso che ogni parte del materiale utilizzato per l’allestimento sia interamente riciclata e donata. Per esempio, i pannelli di legno destinati ad essere impiegati in ambito edilizio.

Cesare Cunaccia

L’autore non collabora, non lavora né partecipa, non riceve compensi né finanziamenti, da alcuna azienda o organizzazione che possa ricevere vantaggi economici o di sorta dalla pubblicazione di questo articolo.

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