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Il ritorno della lana italiana: lavorare piccoli lotti per ritrovare la qualità 

Gestione di piccoli quantitativi, niente mescolamenti tra fibre di provenienza diversa e sostanze chimiche ridotte al minimo. I tre assi lungo i quali si muove l’attività di Lanatura Filati

Lanatura Filati è un laboratorio di lavorazione di fibre animali di Lastebasse, provincia di Vicenza

Attiva da inizio 2017, Lanatura Filati conta quattro dipendenti, a metà strada tra l’artigianato e il mondo industriale, si è specializzata nel trattamento di lane di pregio prodotte nel nostro Paese: cashmere, angora mohair, lama, lana di cane, alpaca. A differenza delle grandi industrie, accetta e processa separatamente anche i lotti di entità modesta messi assieme da singoli allevatori, costretti di solito a unire le proprie fibre con quelle di altri colleghi per potersi rivolgere ai grandi impianti. «Una decina di anni fa mio figlio, socio dell’azienda, si è spostato dalla Romagna in Veneto per sposarsi. Dopo il matrimonio, ha deciso di avviare un’azienda agricola, dedicandosi all’allevamento di animali da fibra, in particolare alpaca», racconta Bruno Baroncini, titolare di Lanatura Filati. «Nel momento in cui si è cimentato in questo tipo di allevamento è sorto un problema: cosa farne dei piccoli quantitativi di fibra? Fino a poco tempo fa le varie associazioni di allevatori, più o meno consolidate, raccoglievano le fibre di tutti e le portavano a far filare in grosse aziende, mischiando la materia di 30-40 realtà»

Da qui l’idea di creare un laboratorio che offrisse una gestione personalizzata, per cliente e per colore, della materia prima dall’inizio alla fine. Dopo aver individuato il sistema che garantisse la necessaria flessibilità e i macchinari adeguati, quattro anni fa è partita l’attività. «Da zero – specifica Baroncini – perché nessuno di noi aveva mai lavorato nel settore della lana». In poco tempo, è diventato il punto di riferimento di molte piccole aziende. Il boom di allevamenti di alpaca in Italia ha portato a un aumento delle richieste di lavorazione di questa lana. Ora arrivano da ogni regione, dall’Emilia all’Abruzzo. La sua filatura, senza mescolamenti con fibre estranee, dà a queste realtà la possibilità di vendere articoli di abbigliamento prodotti con la loro materia prima. Da un alpaca di medie dimensioni è possibile ottenere circa due chilogrammi di fibra che, come tutte le lane, richiede attenzioni particolari in fase di lavorazione: «Non esiste uno standard. Lavorare la lana è come lavorare gli alberi: ogni legno è diverso. Anche all’interno dello stesso allevamento, tra animale e animale, la fibra è diversa. Ognuna ha la sua peculiarità»

L’organizzazione del processo di Lanatura Filati è identica a quella dei grandi impianti industriali, ma su scala ridotta

«Se quelli sono camion, noi siamo un furgoncino», riflette Baroncini usando una metafora. La differenza è che i processi non sono in linea e richiedono l’intervento umano. Le fasi di lavorazione sono quelle tradizionali (lavaggio, selezione della fibra, cardatura e filatura), ma svolte senza l’impiego di additivi e sostanze chimiche. Ad esempio, la pulizia della lana sucida è fatta meccanicamente, non attraverso la carbonizzazione, un trattamento con acidi e a temperature fino a 150 C° che l’industria sfrutta per eliminare le fibre vegetali. Una modalità che, sebbene rovini la materia, è tollerabile su grandi quantitativi. Per il lavaggio l’azienda veneta impiega solo una piccola dose di sapone ecologico. Il divario di dimensioni con i giganti del comparto è evidente esaminando i filatoi. «Un filatoio medio-piccolo lavora con 600 fusi, quindi fila 600 fili alla volta»

Ogni lotto superiore al chilo e mezzo è lavorato e filato separatamente

«Sotto questa soglia, consigliamo di farne un uso diverso, ad esempio di mescolarlo con altre fibre», fa presente Baroncini. «Una lavorazione come questa, su scala ridotta, ha dei costi superiori alla lavorazione industriale. Se la fibra è di alta qualità è un conto, ma se il valore è basso si rischia che il costo di lavorazione sia uguale o superiore al valore di mercato del prodotto finito. Per l’allevatore non converrebbe». La lana di pecora, pur essendo accettata e molto trattata, è considerata una materia meno nobile di altre. Il laboratorio è scelto anche da allevatori di specie a rischio estinzione, come la Brogna della Lessinia. 

Ad avere più spazio il cachemire e l’alpaca, che costituisce circa l’80 percento della produzione. Per i lotti più modesti, c’è un sovraprezzo: «Per ogni filo, le macchine vanno tarate, in quanto le richieste dei singoli clienti sono diverse. Per quantitativi molto piccoli, siamo costretti ad applicare una sorta di penale, perché i costi di gestione e impostazione delle macchine per lotti da 1,5 chili sono gli stessi di quelli da 10 chili. Serve da stimolo ai clienti a fare quantitativi un po’ più abbondanti». L’allevatore deve tenere conto anche della perdita di una quota fissa di fibra durante la produzione del filato. «Se perdi 300 grammi su un chilo è il 30 percento. Se li perdi su 10 chili è il 3 percento», ragiona il titolare dell’azienda. Il filato, infine, è consegnato in matasse o in gomitoli ed è tracciabile. «Il cliente che torna da noi a distanza di tre anni, può ricostruire come era stata lavorata la fibra che aveva portato»

I piccoli allevatori si ritrovano spesso a dover prendere una decisione sul destino delle pellicce ricavate dai propri capi, la cosiddetta lana sucida

Essendo considerata un sottoprodotto agricolo di origine animale, si trovano davanti a un bivio: smaltirla come rifiuto speciale con costi aggiuntivi e preparazione della documentazione richiesta; oppure farla filare per venderla o per trasformarla autonomamente in prodotti finiti. A causa della crisi del settore italiano, con la chiusura di gran parte dei lavaggi di lana (la prima fase del processo di filatura) e la delocalizzazione verso l’Asia per contenere i costi, la seconda via è stata percorsa a fatica negli ultimi anni. «Le vere filature industriali che resistono sono quelle nella zona di Biella. La ‘cinesisazzione’ del processo ha tarpato le ali anche a loro. Per rivolgerti a queste realtà, prima di tutto devi mettere insieme un quantitativo di fibra sufficiente perché te la accettino, minimo 700-800 chilogrammi. Quando arriva, è tutto mescolato». 

Questa pratica ha causato un appiattimento della qualità delle lane italiane: «In questo modo, l’allevatore si vedeva tornare indietro una fibra che non era la sua, ma il risultato della media di tutto ciò che era stato conferito al punto di raccolta. Consegnava la fibra di animali bianchi o marroni e si trovava un prodotto grigio. Alla fine riceve un prodotto che non è il suo. È sempre italiano, ma perde la tracciabilità. Non c’è neanche lo stimolo di migliorare la produzione, perché tanto sarà rovinata da un collega che consegna una fibra di bassa qualità nello stesso mucchio». Il livello mediocre è legato a diversi fattori: «Si mischia una fibra che è mediamente attorno ai 17-18 micron di dimensione con della fibra da 40, ad esempio. Succede se si mettono assieme quelle di animali che hanno un anno, un anno e mezzo di età, con esemplari di 10 anni che hanno una fibra nettamente inferiore. È vero che così si alza la qualità di quello scadente, ma si abbassa drasticamente quella della parte buona»

Lanatura Filati garantisce anche il reso degli scarti del processo insieme al filato

La lavorazione della materia in modo separato consente all’allevatore di toccare con mano il vero frutto del suo lavoro e, spiega il titolare, «è incentivato ad aumentare la qualità migliorando la fase a monte della produzione, dalla selezione della razza allo stile di alimentazione dei suoi animali».  A questo scopo, Lanatura Filati garantisce anche il reso degli scarti del processo insieme al filato: «Se sono pochi, vuol dire che l’allevatore ha lavorato bene. Se invece ci è stata consegnata fibra grezza piena di sporcizia o con molta giarra (la parte della fibra non adatta a essere lavorata), saranno molti». Confrontando questa quantità con i valori medi di perdita di materia durante il processo, un allevatore può capire la bontà del proprio operato: «Nella lavorazione dell’alpaca di solito si perde il 20-25 percento. Arrivano lotti che si alleggeriscono anche del 40 percento»

L’azienda vicentina sfida le logiche che governano il mercato. «Sui grandi quantitativi, le industrie devono contenere i costi. Negli ultimi 15-20 anni si è data esclusivamente importanza al prezzo senza guardare la qualità.  Ed è per questo che il settore ha cominciato a preferire la materia cinese. Se in Italia creo un prodotto qualitativamente inferiore a quello cinese e quest’ultimo costa il 30 percento in meno del mio, perché si dovrebbe scegliere il mio? Se, invece, il mio filato ha caratteristiche superiori a quello straniero, giustifica il fatto che costi il 40-50 percento in più. Il modo di ammazzare il mercato è proprio questo, a nostro modo di vedere le cose. È quello che stiamo cercando di fare».

Lanatura Filati

Via 1 Maggio, 20,
36040 Pedemonte VI

Marco Rizza

L’autore non collabora, non lavora né partecipa, non riceve compensi né finanziamenti, da alcuna azienda o organizzazione che possa ricevere vantaggi economici o di sorta dalla pubblicazione di questo articolo.

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