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Il Parco Naturale di Milano: l’agricoltura rigenerativa conviene economicamente

Isola Maria produce latte biologico con tecniche di rigenerazione del suolo. Nel Parco Agricolo Sud di Milano soltanto un quinto degli agricoltori lavora con metodi non intensivi

Nel Parco Agricolo Sud Milano – 47 mila ettari su cui insistono 61 comuni – operano circa 800 imprese, il 20% circa delle quali applica un modello agricolo alternativo a quello intensivo, rigenerativo o biologico

Cascina Isola Maria è un’azienda agricola biologica zootecnica da latte con una sessantina di vacche in produzione e circa 120 animali in tutto, comprese la rimonta. Come racconta Dario Olivero, che con la moglie Renata Lovati, conduce l’azienda «tutto ciò che è prodotto sulla superficie, di circa 60 ettari, è destinato a diventare alimento per il bestiame. Molta superficie è destinata al prato. Agli animali diamo come alimento base il fieno. Non il trinciato di mais o il sorgo – riteniamo che questo sia un tipo di alimentazione più naturale e sano».

La cattura e il sequestro di co2

I prati svolgono la funzione di biosequestro di CO2 dall’atmosfera: «fungono da recettori di carbonio e rilasciano ossigeno. Il bilancio è positivo a favore dell’ossigeno». L’anidride carbonica catturata alimenta i microrganismi del terreno, che formano la sostanza organica. Si tratta di un passaggio alla base del ciclo di fotosintesi. La cattura di carbonio è svolta non solo dei prati e degli alberi, ma anche dai suoli. Uno studio del 2017 ha calcolato che, se meglio gestiti e rigenerati, i suoli agricoli avrebbero la capacità di assorbire dall’atmosfera 1,85 gigatoni di carbonio all’anno. L’attività fotosintetica e biosequestrante dei prati può portare all’assorbimento di fino a 2,5 tonnellate di CO2 all’anno per ettaro di prato. L’irrigazione aumenta la quantità di carbonio che un prato è in grado di assorbire, perché accelera la mineralizzazione del suolo, quindi la sua rigenerazione.

Cascina Isola Maria ad Albairate

Un altro principio di agricoltura rigenerativa seguito a Isola Maria è la rotazione dei campi. Un requisito richiesto anche alle aziende agricole biologiche per ottenere la certificazione di produttore bio, conferita da enti privati autorizzati dal Ministero delle Politiche agricole alimentari e forestali. Come racconta Olivero, «ogni due anni, dopo due coltivazioni di cereali, è obbligatoria la coltivazione di una leguminosa, qualunque essa sia. L’erba medica, il pisello, la soia, il trifoglio, capaci di apportare azoto nel terreno, comportandosi da concimazione».

Altra tecnica che porta a una rigenerazione del suolo senza l’ausilio di fertilizzanti chimici è il sovescio, usata anche in altre aziende agricole biologiche. Consiste nel «rivoltare nel terreno per apportare sostanza organica». L’interramento porta le piante a decomporsi e ad apportare sostanza organica nel suolo, aumentandone la fertilità e di conseguenza la capacità di assorbire carbonio. Ruotare le colture, inoltre, tenendo il terreno occupato, ferma l’erosione del suolo per mezzo degli agenti atmosferici. La sostanza organica, nei campi di Isola Maria, è apportata anche con il letame e con il liquame.

Allevamento biologico di bovini da latte

Negli allevamenti biologici da latte si riserva una maggiore attenzione al benessere animale. Scegliendo razze bovine autoctone e preferendo il pascolo all’aperto alle stalle, gli animali vivono in condizioni di maggiore libertà e producono latte di qualità superiore. Negli allevamenti biologici il bestiame deve essere nutrito con foraggio e cereali di origine biologica, la cui produzione sia in equilibrio con l’attività di allevamento e di produzione vegetale dell’azienda agricola. Le sostanze chimiche e i prodotti OGM sono da evitare sia per l’alimentazione del bestiame, sia per la cura delle patologie animali, che nei casi meno gravi vanno curate con rimedi omeopatici e fisioterapici.

Isola Maria, prima della conversione ad azienda agricola biologica nel 2009, ha lavorato per trent’anni seguendo un modello intensivo, anche se, come spiega Olivero, «avevamo già una predisposizione ambientale da una decina di anni. Avevamo aderito alle misure agroambientali della Lombardia, quando negli anni Novanta, con dei fondi europei, la regione pagava gli agricoltori che si impegnavano a diminuire l’impatto della chimica in agricoltura attraverso operazioni codificate dalla norma».

Il passaggio al biologico di Isola Maria

La ragione della conversione fu il crollo del prezzo del latte, che nel 2009 arrivò «a 35 centesimi al litro. Per una realtà come la nostra diventava insostenibile il rapporto tra costi di produzione e ricavi, quindi abbiamo cercato una strada alternativa a quella che stavamo seguendo per raggiungere obiettivi economici realizzabili, continuando sulla via agroambientale già intrapresa. Il biologico riservava prezzi maggiori alla vendita del latte e accelerava il processo di naturalità a cui noi tendevamo».

Il passaggio al biologico ha portato a Isola Maria dei vantaggi economici. «Con il modello rigenerativo si spende meno, perché non bisogna comprare i prodotti chimici come diserbanti, fertilizzanti, insetticidi. C’è un risparmio dal punto di vista degli input, soprattutto nell’azienda agricola, meno nell’azienda zootecnica. Si spende qualcosa in più nelle lavorazioni, ma nel complesso il bilancio è positivo. Il guadagno deriva dal prezzo del latte biologico; dalla vendita dei formaggi e dall’attività di agriturismo, dalle quali si ricava un reddito integrativo».

Parco Agricolo Sud Milano, fauna e flora

Una minaccia in questo tipo di agricoltura è rappresentata dalle specie aliene, sia a livello di fauna, sia a livello di flora, in quanto provocano danni ai terreni coltivati e alla biodiversità degli ecosistemi. Nel Parco Agricolo Sud Milano due specie vegetali, Alianto e Prunus Serotina «sono le piante che causano i problemi principali. Non procurano danni all’agricoltura, ma alterano la qualità dell’ambiente, che da autoctono muta rispetto a quello che era originariamente». Le specie animali aliene causano invece danni agli agricoltori – in particolare «le nutrie, arrivate una ventina di anni fa circa dal Canada. Erano state importate da alcuni allevatori che volevano creare allevamenti da pelliccia, ma l’operazione si è rivelata fallimentare e sono state liberate nel territorio. Dato l’alto tasso di fertilità che le distingue, nel giro di pochi anni si sono diffuse a macchia d’olio in tutta la Pianura Padana, creando danni all’agricoltura».

Non esiste un piano organizzato per limitare i danni delle nutrie. «Ci sono solo interventi occasionali su richiesta dei singoli che risolvono problemi locali e specifici, ma non aggrediscono il problema». Secondo Olivero, per arrivare nel giro di qualche anno a un controllo totale del fenomeno, servirebbe «un piano generalizzato in Regione Lombardia per arrivare alla sterilità delle femmine, così come si è fatto per i piccioni a Milano». La questione delle nutrie non può essere risolta dal singolo agricoltore. «Non sono autorizzati ad abbattere nutrie e avrebbero a loro carico il costo dello smaltimento, insostenibile per una singola azienda agricola, anche perché si tratterebbe di migliaia di capi».

Il Parco Agricolo Sud verso il Parco Naturale

La gestione delle specie aliene al momento è in mano alla Regione Lombardia, ma le cose potrebbero cambiare a breve. Il PAS ha iniziato il processo di riqualificazione di sette aree presenti al suo interno. Corrispondono al 15% della superficie del Parco Agricolo Sud Milano, circa 7000 ettari sui 47mila totali. Se queste aree fossero riconosciute come Parco Naturale, diverse decisioni che oggi sono gestite dalla Regione Lombardia passerebbero al consiglio direttivo del Parco Agricolo Sud Milano. Non solo i piani per il contenimento delle specie aliene, ma l’accesso a finanziamenti riservati ai parchi riconosciuti e il parere vincolante e non solo consultivo sulle grandi opere.

La pratica per la qualificazione di parte del Parco Agricolo Sud a Parco Naturale è stata già approvata dal Consiglio direttivo e dall’Assemblea dei sindaci del Parco Agricolo Sud. 42 voti a favore e 11 contrari. La decisione finale spetta alla Regione Lombardia, che potrebbe intervenire sulla ridefinizione dei confini o sollevare obiezioni. La qualificazione di alcune aree a Parco Naturale, secondo Olivero, «non andrebbe a scontrarsi con la definizione di parco agricolo del Parco Agricolo Sud, anzi lo valorizzerebbe, associando al concetto di agricoltura quello di naturalità». Per gli agricoltori questo passaggio non causerebbe variazioni nelle norme da seguire. La conversione a Parco naturale di parte del PAS imporrebbe tre vincoli nuovi, a favore dell’attività agricola: il divieto di costruire cave, il divieto di costruire impianti di trattamento dei rifiuti e il divieto di caccia.

Parco Agricolo Sud e ForestaMi

Un altro progetto in corso che riguarda il Parco Agricolo Sud è ForestaMi. Il progetto di riforestazione della città metropolitana di Milano con l’obiettivo di piantare 3 milioni di alberi entro il 2030 a Milano e hinterland. L’ente Parco Agricolo Sud Milano è tra i promotori del progetto. Anche perché l’area del Parco vedrà la messa a dimora di alberi – non sui terreni agricoli, che svolgono già la loro funzione ambientale – ma sulle ripe e sui terreni marginali. ForestaMi divide gli agricoltori, come spiega Olivero.

«Una parte del mondo agricolo ritiene le piantumazioni un fastidio per le lavorazioni agricole, soprattutto per le pulizie dei fossi; un’altra parte, composta da agricoltori biologici e non intensivi, ritiene la protezione ambientale. Ovvero la presenza delle alberature, un controllo contro i venti forti, per la nidificazione di uccelli che a loro volta controllano i parassiti, per i parassiti antagonisti: c’è un equilibrio ecologico che sfrutta in modo positivo la presenza delle alberature».

Agricoltura Rigenerativa – definizioni

Il modello di agricoltura rigenerativa è caratterizzato dall’utilizzo di quattro tecniche. Variano a seconda del tipo di coltura, del clima e delle caratteristiche dei suoli. Tutte utili a raggiungere l’obiettivo di un’agricoltura integrata nell’ecosistema, che ne rispetti la biodiversità e che porti a una rigenerazione della sostanza organica. La prima tecnica è il minimo disturbo del suolo da parte di mezzi meccanici, in modo da non liberare carbonio nell’atmosfera per mezzo dell’aratura e di non danneggiare lo strato di sostanza organica. Il secondo fattore che porta alla rigenerazione dell’humus è mantenere una rotazione di colture. La coltivazione a monocolture, per quanto sia più efficiente da un punto di vista economico, rendono sterile il suolo. Cosa che porta a aumentare l’uso di fertilizzanti chimici, i quali innescano un circolo vizioso di desertificazione.

Un’agricoltura rigenerativa è un modello che porta alla rigenerazione dell’ambiente circostante. Un’altra tecnica utile in questo senso è mettere a dimora a ridosso dei campi coltivati alberi, siepi e arbusti, in modo che ci siano delle radici vive presenti nel suolo alimentino e facciano crescere lo strato di sostanza organica. Una quarta e ultima tecnica, usata non sempre, è la rotazione di pascoli sui suoli agricoli.

Mariachiara Riva

L’autore non collabora, non lavora né partecipa, non riceve compensi né finanziamenti, da alcuna azienda o organizzazione che possa ricevere vantaggi economici o di sorta dalla pubblicazione di questo articolo.

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