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Scarti di lana trasformati in fertilizzanti: progetti in Italia

La fibra sporca per l’UE è un rifiuto speciale, da smaltire o trasformare. Con l’idrolisi o la pacciamatura, la fibra torna risorsa – Greenwoolf e Lokalana creano biofertilizzanti dagli scarta di lana

Scarti di lana come rifiuti speciali

L’Europa ha un problema con la lana di scarto. L’allevamento di ovini continua a essere pensato per il mercato di carne e latte. Buona parte della fibra raccolta non trova applicazioni nel manifatturiero, né in altri campi. «Il Continente ha circa 100 milioni di pecore. Dalla loro tosatura si producono intorno alle 200mila tonnellate di lana l’anno», dice Marina Zoccola, ricercatrice del CNR-STIIMA (Istituto di Sistemi e Tecnologie Industriali Intelligenti per il Manifatturiero Avanzato).  «La lana europea è spesso di scarsa qualità. Non è impiegata nel tessile perché grossolana e molte volte rimane inutilizzata. La Commissione Europea – tra i sottoprodotti di origine animale non destinati al consumo umano- la classifica come rifiuto speciale di classe tre, categoria di materiali che vanno bruciati, smaltiti in discarica o trasformati. La lana sucida di scarto – metà fibra e metà umidità, terra, paglia e grasso – non brucia spontaneamente. Ha bisogno di sostanze infiammabili e la sua combustione genera fumi tossici a base di zolfo, presente all’interno della fibra. Dovrebbe allora essere smaltita, perché può portare alla diffusione di malattie. Deve essere lavata e sanitizzata: queste operazioni hanno un costo, perché durante il lavaggio sono prodotti fanghi che vanno a loro volta smaltiti. Molte volte è lasciata in giro. Così, un prodotto che potrebbe avere molti utilizzi, è diventato una spesa o uno spreco»

Trasformare la lana in biofertilizzanti

Uno tra i possibili utilizzi degli scarti è trasformarli in fertilizzante. «La lana è una cheratina, quindi le sue fibre sono proteine. I legami di solfuro al loro interno, che la rendono pericolosa se bruciata, sono invece utili in agricoltura perché lo zolfo è un fertilizzante e anche un anticrittogamico (fungicida naturale ndr)», spiega Zoccola. Oltre a migliorare le caratteristiche del suolo, la trasformazione di lana in biomassa può ridurre i costi economici e ambientali legati all’utilizzo di fertilizzanti chimici e aumentare l’occupazione e il profitto degli allevamenti ovini in Europa. Con questi obiettivi è nato il progetto Greenwoolf, a cui hanno partecipato l’Istituto di Sistemi e Tecnologie Industriali Manifatturiero del CNR, la sede di Biella del DISAT – Dipartimento Scienza e Tecnologia – del Politecnico di Torino e la OBEM Spa, aziende tessile del biellese specializzata nella produzione di macchine per la tintoria. Racconta Zoccola: «Abbiamo comprato lana sucida da allevatori locali e abbiamo studiato un metodo per trasformala in fertilizzante senza lavarla. Il lavaggio è diventato un problema. La depurazione dell’acqua che ne segue è un processo costoso ed è sempre più difficile trovare in Italia posti che lo facciano. Anche nel biellese, territorio per tradizione specializzato nella lavorazione tessile, negli ultimi decenni hanno chiuso molte pettinature. Quelle che sono rimaste aperte lavorano fibre più pregiate di quelle raccolte dai pastori locali, come la lana australiana, ed è difficile che accettino carichi di lana sucida. Ormai sono sempre più diffuse lane sudamericane che arrivano già lavate. Comprarle costa meno che far trattare quelle locali: il lavaggio non è un’operazione considerata conveniente». 

Il progetto Greenwoolf: lana e idrolisi

Per convertire gli scarti di lana non lavati in fertilizzante organico, Greenwoolf ha utilizzato la tecnica dell’idrolisi tramite pressione e vapore. Spiega Zoccola: «Abbiamo messo la lana sporca in un reattore con acqua intorno ai 170°C, per circa un’ora. La macchina girava attorno a un asse che permette all’acqua di penetrare in tutta la lana utilizzando vapore saturo prodotto da una caldaia, passaggio complesso perché la lana è di per sé isolante. Gli idrolizzati proteici sono permessi in agricoltura biologica, dove è già usata la cornunghia – un fertilizzante di origine animale, ottenuto tramite corna e unghie scartate dalla lavorazione industriale della carne- con caratteristiche simili a quella della lana. Abbiamo iniziato a lavorare al progetto nel 2013, partecipando a un bando Life dell’Unione Europea. A sperimentazione conclusa, abbiamo presentato domanda al registro fertilizzanti italiani per mettere in commercio il nostro prodotto e stiamo aspettando risposta dal Ministero Italiano delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali». Considerando i costi per la produzione del fertilizzante, per rientrare nelle spese, secondo i calcoli del CNR-STIIMA (ai tempi dell’esperimento CNR-ISMAC), «il prodotto finito costerebbe cinquanta centesimi nei primi due anni di produzione, calcolando anche l’ammortamento dei macchinari, e trentatré centesimi per gli anni successivi», dice Zoccola.

Lokalana recupera gli scarti della lana

Il reimpiego circolare della fibra di lana potrebbe essere utile sia ai pastori delle comunità montane dove pascolano i greggi di pecore, sia agli agricoltori. All’Università di Bolzano, un gruppo di cinque studenti di design della comunicazione e del prodotto, due italiani e tre tedeschi, ha pensato a come reimpiegare il materiale per aiutare l’economia locale. «Circa 60 tonnellate di lana grezza trentina rimangono inutilizzati ogni anno. Qua tutti conoscono il problema. Perché buttarla via invece che sfruttare le sue proprietà fertilizzanti e termoisolanti?», dice Lucrezia Dal Toso, una degli universitari che segue il progetto Lokalana, vincitore del concorso Hackathon KlimaHouse Onda Z 2021. Guardando all’Alto Adige, racconta Dal Toso, il primo pensiero è andato all’agricoltura. «Gli scarti di lana possono essere utilizzati in modi diversi per colture specifiche. Sono termoisolanti, quindi d’estate proteggono le coltivazioni dal caldo e d’inverno dal freddo. Abbiamo pensato a scheletri in legno su cui appoggiare una texture di lana per coprire le piante e raggiungere così la temperatura adatta alla loro crescita. È un metodo che può essere applicato sia su larga scala che nella quotidianità. Ognuno può farlo anche sul proprio terrazzo, invece che servirsi dei comuni teli di copertura in plastica o in rete plasticata. Adesso stiamo cercando di creare un prototipo operativo. Stiamo anche pensando ad altri possibili impieghi della lana di scarto: dalla creazione di packaging in lana all’utilizzo in cosmetica della lanolina, il grasso della fibra».

La pacciamatura della lana

Per fertilizzare i terreni agricoli, la tecnica pensata da Lokalana è quella della pacciamatura: ricoprire il suolo coltivato con lana di scarto. «Si tratterebbe di prendere materiale grezzo e farlo decomporre nel terreno, come quando si utilizza il cotone per far crescere i fagioli», spiega Dal Toso. La pacciamatura organica non è solo una risorsa di nutrienti per le piante. Protegge il terreno dall’erosione e stabilizza le condizioni di umidità e temperatura, permettendo agli agricoltori e agli allevatori di riciclare sottoprodotti delle loro attività a basso costo. Le pacciamature di lana si sono già dimostrate valide in esperimenti di bio-ingegneria e nella coltivazione di pomodori e fragole. Il materiale non ha bisogno di essere lavorato prima di toccare il terreno. Si può produrre attraverso infeltrimento della lana e richiede un lavaggio minimo della fibra sucida, con ulteriori vantaggi dal punto di vista ambientale. 

Diminuire l’uso di fertilizzanti chimici

I biofertilizzanti prodotti mediante idrolisi o pacciamatura della fibra di lana rappresentano un’alternativa ai fertilizzanti minerali. I composti chimici portano con sé diverse problematiche. Le piante non riescono sempre ad assimilarli con facilità, e questo crea nel terreno scorte di nutrienti non utilizzati dai vegetali, così soggetti a percolamento e conseguente potenziale inquinamento di falde acquifere. Nel caso di concimi e fertilizzanti organici, come quelli sviluppati con la lana, «si va ad arricchire il suolo, più che a nutrire direttamente le piante. I cicli vitali del terreno da coltivare beneficiano non solo dello zolfo presente nelle fibre di lana, ma anche di altre sostanze come carbonio e amminoacidi. La valutazione delle proprietà fertilizzanti del composto creato durante Greenwoolf ha messo in luce che, partendo da lana sucida con 8% di azoto e il 32% di carbonio, basse quantità di fosforo e potassio e un pH10, si arriva a un idrolizzato proteico con circa il 6% di azoto, 18% di carbonio e un pH neutro, adatto a tutti i tipi di suolo. L’azoto fertilizza la sostanza organica, rende il terreno più soffice. L’idrolisi velocizza il processo di degradazione della lana nel suolo, rispetto alla semplice pacciamatura, perché i legami di solfuro nelle fibre fanno sì che a terra si degradi lentamente. Con l’idrolisi, questi legami si rompono», spiega Zoccola.

GreenWoolF 

Con GreenWoolF è stata sviluppata una soluzione mirata per il riutilizzo degli scarti di lana che sono trattati e convertiti in concimi organici ammendanti. Il progetto ha dimostrato che le lane grossolane non utilizzabili possono essere totalmente riciclate (100%), senza alcun trattamento preliminare di lavaggio, in un materiale ‘verde’  e ad alto valore aggiunto, con benefici per l’ambiente e possibili introiti per il settore zootecnico.

Lokalana

Sei studenti della facoltà di Design dell’Università di Bolzano, hanno dato vita alla start-up Lokalana per il riuso innovativo degli scarti di lana nel territorio dell’Alto Adige, con l’idea di abbattere lo spreco

Giacomo Cadeddu

L’autore non collabora, non lavora né partecipa, non riceve compensi né finanziamenti, da alcuna azienda o organizzazione che possa ricevere vantaggi economici o di sorta dalla pubblicazione di questo articolo.

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