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Sanremo: tutto è interessante perché nulla è interessante – dialogo tra Caffo e Stryxia

Il filosofo e scrittore Leonardo Caffo si confronta con Stryxia, dj e icona del Plastic di Milano: all’Ariston la superficialità è un rischio, ma meglio un’insalata mista che un solo ingrediente

Sanremo oggi ha la funzione di ‘secolarizzare’ e istituzionalizzare ciò che è trend sui social

LC: «Se fino a circa 10 anni fa il mezzo televisivo era l’unica via di contatto con questa epifania dello Zeitgeist che è il festival di Sanremo, con la definitiva affermazione dei social e delle piattaforme di audio streaming come Spotify, Sanremo ha perso il suo ruolo di unica finestra sul nazional popolare. Alla luce di tale considerazione, oggi che tutto è nazional-popolare, cosa è il nazional popolare?» 

Stryxia: «In quest’ottica Sanremo oggi ha la funzione di ‘secolarizzare’ e istituzionalizzare ciò che è trend sui social. Oggi è sui social che prende forma quello che un tempo chiamavamo nazionalpolare, e che oggi si chiama ‘viral’. Sono sinonimi. Sanremo oggi non è più il luogo in cui il nazionalpopolare ‘è’, ma dove diventa istituzionalizzato, legittimato ad essere ascoltato e conosciuto da chi ha 14 anni come da chi ne ha 80. In questo Chiara Ferragni è l’esempio».

Stryxia, dj resident del Plastic di Milano dal 1999 e creatrice insieme a Sergio Tavelli della serata House of Bordello: i limiti dei monologhi sul palco dell’Ariston, il discorso di Chiara Ferragni, una cartuccia sparata a vuoto; la profondità di Francesca Fagnani 

Stryxia: «A Sanremo è avvenuta la secolarizzazione di Ferragni, da fenomeno conosciuto prevalentemente per Instagram – nonostante poi il suo ruolo di imprenditrice, meno conosciuto – a portatrice di una visione di mondo, simbolo di una battaglia. In merito a questo ritengo però che abbia calibrato non a pieno la sua battaglia. Il suo monologo è sembrata una cartuccia sparata male, la lettera a se stessa su un argomento come quello mancava di incisività. Forse la scelta di non avvalersi di autori per farsi aiutare nella scrittura era voluta, per non far passare un messaggio da intellettuale. Credo anche che la scelta del tema da parte sua sia stata sbagliata. Visto il suo ruolo, la sua professione, avrebbe potuto parlare di come si fa impresa in questo paese. È da imprenditrice che è diventata tra le donne italiane più conosciute al mondo. La scelta di parlare di violenza sulle donne l’ho trovata stonata. Viceversa è stata quantomai azzeccata la scelta di Francesca Fagnani di parlare del tema delle carceri: per il ruolo che ha e per come ha costruito il suo monologo trovo che quello sia stato un esperimento riuscito».

Caffo, i rischi della semplificazione estrema: narcisismo, riduzione della complessità, estetizzazione della quantità di follower: pensatevi libere, ma non c’è libertà senza conoscenza

LC: «Non ho niente contro Chiara Ferragni, che ritengo una figura positiva per tante cose, così come credo che l’operazione di Maria Grazia Chiuri sia interessante. Didascalica, ma interessante. Trovo altresì che, per quanto sia ovvio il recinto del nazional-popolare, la semplificazione verso cui stanno andando i modelli a cui esponiamo le giovani ragazze siano discutibili: semplificazione in slogan, narcisismo estremo di gente che ha come unico argomento parlare di sé a sé, impossibilità di qualsiasi critica perché altrimenti sei sessista, riduzione della complessità dei problemi, estetizzazione forzata della quantità di follower dopo che hai raccontato che ciò che conta è come ti senti tu mentre ancora una volta stai generando la depressione di chi non ha la tua stessa fortuna, l’idea che decine di anni di dibattiti intellettuali sul femminismo possano auto contraddirsi in chi ha usato la figura della donna in modo quantomeno stereotipato. Se è vero che i giovani sono giovani ed è giusto che abbiano i loro riferimenti culturali, non possiamo non riconoscere che la società rischi di produrre un sonno della ragione fatto di incapacità di leggere anche un gobbo televisivo, non possiamo davvero pensare che la soluzione a tutti i problemi del mondo sia ‘credi in te stessa’ o ‘ribellati a tutto ciò che pensi sia sbagliato’. Questi sono slogan motivazionali da mental coach buoni per i film di Hollywood, non è la realtà della vita. La vera discriminazione in questo caso, temo non sia sulle donne e basta: ma sulle donne povere.  Concordo sul  ‘pensatevi libere’, ma permettetemi di dire da ormai vecchio insegnante che ‘non c’è libertà senza conoscenza’». 

Sanremo e diritti LGBTQ+, Stryxia: preferisco un’insalata mista dove trovo tutto a un piatto con un solo ingrediente

LC: «Nel tentativo di farsi portatore di valori, il Festival finisce per essere una lunga carrellata di superficialità. Prendendo ad esempio le tematiche LGBTQ+, si ha l’impressione è che si cerchi di inserire il gettone di presenza giusto per far contenti tutti, senza essere in grado di realizzare un discorso che vada in profondità sui diritti– che in Italia non ci sono».

Stryxia: «Io tendo a rifuggire le definizioni: in alcuni momenti della mia vita sono Graziano e in altri sono Stryxia. Penso comunque che il tuo giudizio sia troppo duro nei confronti di Sanremo. Nei quattro giorni di Sanremo si condensa lo spirito del tempo italiano. Non è un caso che non solo quello che succede sul palco, ma anche o soprattutto quello che accade intorno ad esso diventi notizia. Si veda ad esempio quanto accaduto riguardo alla presenza e alla canzone di Rosa Chemical: nel Parlamento italiano una onorevole ha deciso con le sue dichiarazioni sull’identità di genere di farsi rappresentante di una cultura omofoba che è ben radicata nel Paese. Credo però che Sanremo negli ultimi anni, per quanto in modo superficiale, cerchi di dare spazio alle varie culture discriminate. Preferisco un’insalata mista dove trovo tutto a un piatto con un solo ingrediente». 

Leonardo Caffo: i limiti della prospettiva snob e intellettualista nei confronti del Festival

LC: «Quanto dici mi fa riflettere: io faccio parte di una categoria privilegiata perché non discriminata: sono un maschio bianco etero e normodotato. In Italia questo è un privilegio,  anche rispetto alla tua realtà. Fino ad adesso la mia considerazione di Sanremo come luogo della rappresentatività delle diversità è stata negativa. Il fatto che tu mi dica invece il contrario, e cioè che anche la sola presenza di certe personalità e certe tematiche in prima serata su Rai1 è un bene mi fa comprendere che forse la mia posizione è influenzata da una posizione brutalmente intellettualista In una parola snob. Ci sono però alcuni aspetti che ritengo trattati con una superficialità dannosa: penso per esempio ai pochi secondi di silenzio per il terremoto in Turchia e poi show must go on, al greenwashing spudorato, alla questione femminiile raccontata come favola e non come lotta. Se esamino Sanremo come luogo del nazional popolare vorrei che ci fosse più coraggio nell’affrontare la realtà sociale. La soluzione potrebbe essere una direzione artistica di Stryxia, quella sì che sarebbe sperimentazione».

Stryxia: farei un Sanremo in stile Pippo Baudo 1987, solo musica

Stryxia: «Nella realtà sono molto poco sperimentatore. È ovvio che stiamo fantasticando, non credo di avere le capacità per una direzione artistica perché non è il mio lavoro. Ma giocando con la fantasia, il mio Sanremo sarebbe una specie di polpettone alla Baudo del 1987, lascerei fuori tutta la società, tutti i temi di cui abbiamo parlato fino ad adesso. Farei solo musica. Farei una festa».

LC: «È quello che Sanremo dovrebbe essere: il festival della musica italiana. A dispetto del tuo considerarti poco sperimentale, credo che questa sarebbe una sperimentazione estrema. La festa ha una funzione sacra, santifica lo spazio, defatica, dà la possibilità alla gente di vivere, di alleggerirsi. La festa è un buco, un cratere nella vita quotidiana. Durante le feste anche la più antica delle comunità metteva in scena il mondo alla rovescia, tutti venivano parificati sotto l’ospitalità del sacro e la partecipazione non era più una scelta opzionale». 

Leonardo Caffo: la vera sperimentazione a Sanremo sarebbe renderlo una celebrazione della festa, del suo ruolo antropologico 

LC: «Come mi ha di recente fatto notare una mia laureanda che sta lavorando con me sul tema, il suddito si liberava dal giogo del potente, il padrone veniva legittimamente schernito. Le feste hanno sempre funzionato come delle vere e proprie valvole di sfogo istituzionalizzate, servivano a incanalare le energie, favorire la socializzazione, scandire il tempo della vita comunitaria e in generale delle fasi dell’esistenza umana, accompagnando la crescita sia anagrafica che spirituale di un individuo ( esempio attraverso i riti di passaggio). Il tempo che viviamo oggi non ha invece più una struttura lineare e tutto è proiettato in avanti: la sua sospensione non può essere concessa dalla logica della produzione, una logica di futuro a breve termine che per svariati aspetti ci fa somigliare a moderni algoritmi. A partire da Sanremo mi chiedo cosa sia oggi una festa».

Stryxia: l’impossibilità della condivisione della festa e della musica abbruttisce l’essere umano

Stryxia: «Sono d’accordo. Fin dalla notte dei tempi l’essere umano si riuniva attorno al fuoco per danzare. Il momento della musica non è un momento vuoto. Questo l’ho ribadito spesso anche durante la pandemia: una dei motivi per cui siamo tutti usciti abbruttiti da quel periodo, oltre alle ovvie ragioni legate alla malattia e alle tragedie che ne sono derivate, è stata l’impossibilità della condivisione della festa e quindi della musica».

LC: «È per questo che dico: se per sembrare impegnati nel sociale si trattano le tematiche più complesse con superficialità, con il freno a mano tirato creando un indefinito minestrone con tutto e il contrario di tutto, riabbracciate piuttosto la festa. Concentratevi sulla musica e fateci divertire». 

Stryxia: «È secondo questa logica che ho amato la performance a tre con Morandi, Albano e Ranieri, come anche i Pooh. Non sono mai stata una loro fan, ma non si può non riconoscere che sono una colonna della musica leggera italiana: celebriamola». 

La musica del festival di Sanremo: lode a Paola e Chiara, Mengoni ha meritato, sorpresa Tananai e Lazza; il coraggio di Anna Oxa

Stryxia: «Sanremo è da sempre l’avamposto della musica italiana, e io nei miei djset metto tanta musica che viene da questi oltre settanta anni di Sanremo. Posso considerarmi una delle specialiste del festival. Questo è il Festival di Paola e Chiara. La loro canzone è già parte fissa del mio dj set al Plastic, non solo perché siamo amiche e frequentano il locale da anni. Il loro ritorno per la nostra comunità, quella della notte, è stato perfetto. Riguardo le altre canzoni, Mengoni ha senza dubbio il brano più da Festival, anche quello di Ultimo lo trovo valido, come anche il testo di Tananai. Mi aspettavo una cagata, invece sono rimasta colpita. Lazza ha un brano forte, Giorgia poteva fare qualcosa di più. La canzone dei Cugini di Campagna, mi imbarazza un po’ a dirlo, ha un suo perché. Non credo che lo suonerò, ma mi hanno colpito. Anna Oxa merita poi una menzione a parte: trovo meritevole quello che ha fatto, la sua canzone è difficile, ha avuto coraggio. Io sono una fan, lo sono da sempre».  

Stryxia: Sanremo è come la finale dei mondiali. È il Momento dell’anno. Amadeus riesce a creare un buon mix di scelte musicali

Stryxia: «La realtà è che per noi italiani Sanremo è come la finale dei mondiali. È il Momento dell’anno. Il luogo che rileva i cambi sociali. In questo credo che Amadeus riesca a creare un buon mix. Il rischio del ‘mischione’ democristiano, in cui infilare tutto e il contrario di tutto c’è, ma a mio avviso anche sul piano delle scelte musicali e degli artisti il livello è buono. Se pensiamo che ci sono stati anni in cui vinceva Povia con i piccioni…si era ribellata anche l’orchestra. Per anni la scelta dei concorrenti è sembrata legata alla classica metodologia ‘gli amici degli amici degli amici’. Con Amadeus questa sensazione non c’è, per questo credo che il livello si sia alzato».

Come insegna la storia, da Lucio Dalla a Vasco Rossi fino a Tananai: quando le polemiche finiscono resta la musica. Per fortuna

LC: «Trovo calzante il paragone con la finale dei mondiali: come nel calcio non c’è niente di interessante perché è tutto interessante, così è il Festival di Sanremo».

Stryxia: «Riprendendo quello che dicevamo riguardo la centralità della ‘festa’: alla fine resta la musica. Quando si spengono le polemiche, gli editoriali, i commenti ciò che rimane è il valore della musica. Non è un caso che da Lucio Dalla a Vasco Rossi fino a Tananai, ci ricordiamo delle canzoni belle, non delle cazzate dette da quel politico o da quel giornalista».

Il Festival di Sanremo: il momento in cui gli italiani si sintonizzano con il nazional-popolare

Sanremo ha per decenni, almeno fino agli anni Dieci del 2000, rappresentato non solo il momento ma anche il luogo in cui, attraverso il mezzo televisivo, gli italiani si sintonizzavano con il nazional-popolare, nella sua doppia accezione: sia quella che si rifà alla concezione estetica di Gramsci, secondo la quale le opere, gli usi, costumi e le manifestazioni di una civiltà devono esprimere i caratteri distintivi e rappresentativi della cultura nazionale in modo da contribuire alla presa di coscienza dell’identità concettuale di nazione e popolo; sia, con valore riduttivo, tutto ciò che rappresenta stereotipi e aspetti più superficiali di un gusto e di una presunta identità nazionali. In un continuum che va dalla prima edizione del 1951 ad oggi, guardare al palco dell’Ariston – dalla scenografia ai costumi fino alle canzoni – permette ancora di tracciare l’arco evolutivo della cultura nazional-popolare italiana. 

Leonardo Caffo

Il bacio tra Rosa Chemical e Fedez
Il bacio tra Rosa Chemical e Fedez
Paola e Chiara durante la loro performance a Sanremo
Paola e Chiara durante la loro performance a Sanremo

L’autore non collabora, non lavora né partecipa, non riceve compensi né finanziamenti, da alcuna azienda o organizzazione che possa ricevere vantaggi economici o di sorta dalla pubblicazione di questo articolo.

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