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Il valore del collezionismo: trascendere un mercato dell’arte che incentiva acquisti sicuri a scapito della ricerca

Hussam Otaibi riceve a Firenze il riconoscimento internazionale Rinascimento+, «Il pubblico ha la responsabilità di essere degno dell’arte che guarda»

Lampoon in conversazione con Hussam Otaibi. Le origini del collezionismo

Bruce Chatwin nel suo ultimo romanzo Utz (Adelphi, 1988) paragona la scelta di colligĕre – collezionare – a un antidoto alla decadenza. Allo stesso tempo ne condanna lo spasmodico bisogno di accumulo che innesca nel depositario delle opere tesaurizzate. Il protagonista del testo è un barone che si ritrova a fare i conti con il regime sovietico durante l’imperium su Praga. Sembra che lo scrittore si sia ispirato a un reale collezionista che animava le aste mitteleuropee di Sotheby’s negli anni Sessanta. Utz collezionava porcellane di Meissen, idealmente poi lasciate in eredità alla Galleria Rudolfinum. Chatwin, in meno di centotrenta pagine, ci dona, oltre a una critica sulle grame condizioni degli intellettuali molto attuale, la possibilità di soffermarci sulla capacità dell’uomo di creare intorno alla propria collezione un’autentica metafisica, un altrove, un’estensione psicologica ed emotiva del proprio vissuto. 

«Non ho mai pianificato di diventare un collezionista d’arte. Ho comprato per la prima volta un’opera a vent’anni. Allora non sapevo molto di arte contemporanea, acquistavo solo ciò che mi piaceva», inizia a raccontare Hussam Otaibi, finanziere inglese, collezionista e patron di Art Basel che nel 2016 ha lanciato il progetto Modern Forms, piattaforma curatoriale e organizzazione votata al sociale. «Viaggiavo con mia madre, che era un’insegnante, in Europa dall’Arabia Saudita, dove sono nato e cresciuto fino ai tempi del liceo. Ricordo la prima volta che andai in un museo in Grecia e vidi una scultura antica. Pensai: chi ha fatto questo? Come lo hanno creato? Poter confrontarsi con l’arte sin da piccoli è un privilegio. Ho assistito a un tipo di meraviglia simile quando portai mio figlio, all’eta di sei anni, alla National Portrait Gallery di Londra». 

Collezione d’arte contemporanea e piattaforma curatoriale: il progetto Modern Forms

«Collezionavo già da tempo, circa quindici anni, quando ho fondato Modern Forms. Era il 2016. A questo punto credo avessi già superato quella che definisco la parte ‘egoistica’ del collezionismo, ovvero il desiderio di possedere molte opere d’arte. Ho iniziato a pensare che ci sia anche un dovere di cura nei confronti delle opere che si amano, per cui si diventa loro custodi. Oppure si può desiderare di impegnarsi nel sostenere un artista che si è scoperto e nella cui opera si crede. Questo spirito è parte della ragione per cui ho fondato Modern Forms e caratterizza anche il programma curatoriale. Ho fondato Modern Forms assieme Nick Hackworth, curatore della collezione. Decidemmo che Londra, dove ho vissuto per lo più, non aveva bisogno di un altro spazio d’arte privato. Pensavamo invece che sarebbe stato più utile contribuire ai programmi delle istituzioni esistenti». 

Le istituzioni culturali sostenute da Modern Forms

«Un gruppo di opere che non abbiamo collezionato, ma che abbiamo acquisito e donato a istituzioni, è costituito da quelle che definirei installazioni e video innovativi di artisti emergenti e a metà carriera. Si tratta di opere che trovano nuovi modi per esprimere preoccupazioni umane universali o durature. Abbiamo acquisito e donato alla Tate Modern l’installazione sonora di Emeka Ogboh, The Way Earthly Things Are Going (2017), e ne abbiamo sostenuto l’esposizione alla Tate Tanks. Abbiamo co-commissionato e sostenuto la scultura pubblica Taraxos (2021) di Sophia Al-Maria, con Serpentine Galleries e abbiamo donato il film Betweenness (2018) di Oliver Laric allo Stedelijk Museum di Amsterdam». 

Gli artisti prediletti da Hussam Otaibi: dai Chapman Brothers all’arte africana

Hussam Otaibi colleziona principalmente opere di artisti viventi con profili affermati ma ancora relativamente giovani, le cui opere affrontano temi attuali come il potere, la tecnologia, l’ambiente, la decolonizzazione o il genere. Il primo imprinting che ha ‘forgiato’ la percezione di Otaibi sul contemporaneo proviene dalla ricerca artistica dei Chapman Brothers. 

«I primi artisti contemporanei che hanno avuto un impatto su di me sono stati Jake e Dinos Chapman. Ho visto Hell alla mostra Apocalypse alla Royal Academy nel 2000. Ero abituato a guardare l’arte che voleva sedurre lo sguardo, che voleva essere trovata bella. Il lavoro di Jake & Dinos mi ha stupito. Si tratta di un’opera che non era interessata a piacere, ma a essere complessa, orribile, divertente, confusa e avvincente». 

«Non ho una nicchia che unicamente colleziono. Il mondo è troppo interessante per essere legato a una sola categoria d’arte. Tuttavia, all’interno della collezione ci sono diversi filoni, tra cui l’arte africana. Questo filone è iniziato con Ibrhaim, che Toby Clarke della Vigo Gallery mi ha presentato e che ha realizzato alcune delle opere più potenti, eleganti e belle che io conosca».

L’aspetto finanziario del collezionismo

Il Sig. Otaibi è un finanziere. Cercare un equilibrio tra l’investire in arte e collezionare opere seguendo una ricerca estetica o più semplicemente il proprio gusto personale pare una dinamica complessa: oggi più che mai il mercato sembra incentivare acquisti sicuri dal punto di vista economico, a scapito della ricerca e del pensiero che li supportano. Primi fra tutti gli NFT, avvalorati come buona forma di investimento. 

«Mi appassiona essere un mecenate delle arti, sostenere la cultura per il suo stesso bene. Quando scelgo di investire nell’arte, farlo nel modo giusto. Allo stesso tempo sono un sostenitore del fatto che l’arte debba essere considerata un’importante asset class. Negli ultimi dieci anni, insieme ad amici e clienti che amano il collezionismo, ho acquistato opere d’arte significative con l’obiettivo che si rivalutassero nei prossimi dieci, venti anni. Investire in arte non significa comprare e vendere opere per ottenere profitti a breve termine, ma rispettare ed essere custodi responsabili delle opere in cui si investe. Non ho acquistato alcun NFT e non mi interessa il clamore del mercato intorno a queste creazioni. Tuttavia, la buona arte digitale è arte».

La filantropia secondo Hussam Otaibi

Collezionare è un atto privato, lontano dalla musealizzazione. Eticamente, in un mondo bisognoso di cultura e di bello, la fruizione delle opere, paradossalmente anche di quelle detenute da privati, è un diritto per tutti? Hussam Otaibi ha scelto di declinare le attività di Modern Forms anche in una prospettiva più sociale: «oltre alla collezione e alle attività curatoriali, Modern Forms è anche una piattaforma che promuove progetti che coinvolgono ONG o altre entità simili. È un’area che abbiamo appena iniziato a sviluppare. Viviamo in tempi complessi e ritengo che i mecenati debbano rispecchiare questa realtà nel loro mecenatismo e garantire benefici per il sociale». 

Le ultime iniziative sociali di Modern Forms

«Durante la pandemia abbiamo collaborato con Vital Arts, un ente di beneficenza che si occupa di arte all’interno degli ospedali, e con l’artista Shezad Dawood per creare #100NHSRooms, che raccoglie cento opere d’arte donate generosamente da artisti londinesi per decorare le nuove e rinnovate stanze di riposo del personale del National Health Service in sei ospedali di Londra. Il nostro recente progetto con la scuola d’arte Central Saint Martins, a Londra, mira ad aiutare le giovani gallerie, essenziali per generare nuova arte e cultura in città, a raggiungere collezionisti e nuovo pubblico. Il progetto ha creato l’unica mappa online della scena artistica emergente di Londra. L’obiettivo è promuovere una comunità che produca risultati concreti per i nuovi spazi, aumentando la collaborazione e la comunità e trasformando la mappa in un’app, cosa che speriamo di fare presto» 

Firenze: RINASCIMENTO +, un riconoscimento per chi sostiene l’arte e gli artisti

L’impegno di Hussam Otaibi a favore della cultura è stato recentemente riconosciuto anche in Italia, assieme a quello di Marisa Chearavanont, Gianfranco D’Amato, Laura Mattioli, Fabrizio Moretti, e Patrizia Sandretto Re Rebaudengo. RINASCIMENTO + è un riconoscimento internazionale, giunto alla terza edizione, che il Museo Novecento di Firenze, in collaborazione con MUS.E, consegna a personalità del collezionismo e del mecenatismo per il loro sostegno all’arte e agli artisti. La città toscana rappresenta secoli di mecenatismo nei confronti degli artisti e dei loro linguaggi sperimentali, ponendosi come crocevia ideale di un dialogo a favore alle arti visive. 

«Sono affascinato da questa missione di presentare l’arte del passato e del presente insieme, a Firenze. Questa vocazione ha raggiunto il suo apice nella visita alla mostra di Jenny Saville con la giustapposizione del suo Studio per la Pietà con quello della Pietà Bandini all’interno del Duomo. Due rappresentazioni della sofferenza e della compassione, create a quattro secoli di distanza, eppure entrambe vive e in dialogo l’una all’altra e con tutti coloro che le ammirano»

Hussam Otaibi

Hussam Otaibi è un finanziere inglese. Collezionista e filantropo, nel 2016 lancia il progetto Modern Forms, piattaforma curatoriale ed organizzazione votata al sociale. È patron di Art Basel. 

Federico Jonathan Cusin

L’autore non collabora, non lavora né partecipa, non riceve compensi né finanziamenti, da alcuna azienda o organizzazione che possa ricevere vantaggi economici o di sorta dalla pubblicazione di questo articolo.

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