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River Cleaning: una barriera sui fiumi per catturare la plastica

Gran parte dei rifiuti che confluiscono in mare provengono dai corsi d’acqua. Una diga mobile cerca di bloccarli e di assorbire gli oli inquinanti 

Ridurre la plastica che finisce in mare intervenendo sui corsi d’acqua

Vanni Covolo è la mente del progetto River Cleaning. «Serviva un filtro apposito per i fiumi, i vettori principali dei rifiuti che poi finiscono sulle coste», spiega. Oltre l’ottanta per cento del materiale di scarto che inquina gli oceani proviene dalle correnti fluviali e dagli affluenti. È quanto emerge dal rapporto Plastic Rivers, reducing the plastic pollution on our doorstep, firmato dalle due organizzazioni benefiche Earthwatch Institute e Plastic Oceans.

Filtrare la plastica nell’acqua

All’inizio Covolo pensa a una barriera inclinata da inserire all’interno dei corsi d’acqua. «Era necessaria una soluzione che non avesse bisogno né di manutenzione né di energia. Una struttura capace di intercettare la plastica senza interrompere il passaggio delle imbarcazioni. Autoalimentata, autogestita e galleggiante, per evitare danni ai fondali e alla fauna». L’ancoraggio è stabilito in base alle esigenze di ogni suolo fluviale preso in considerazione. Con tempo e studio è stata realizzata una struttura da applicare all’altezza dell’acqua. È composta da elementi capaci di fermare i rifiuti grazie a un sistema rotatorio. Come fossero boe costruite a elica: girano su sé stesse grazie alla corrente. Spostano gli oggetti verso un lato del fiume, dove sono raccolti da un serbatoio. La disposizione varia a seconda delle dimensioni del corso d’acqua: è possibile ampliarne la circonferenza o creare più file. Durante l’installazione viene tenuto conto della possibile variazione della corrente e del conseguente abbassamento o innalzamento dell’acqua. «Un altro problema dei corsi fluviali sono le sostanze oleose e inquinanti. Per fermarle abbiamo inserito panni assorbenti». Per quest’ultimo processo il brevetto è stato depositato ad agosto 2020. Funzionano tramite sensori, che riconoscono la presenza di oli nelle acque e fanno azionare delle pompe. Esse aspirano la corrente nel primo centimetro delle boe, che girano su sé stesse e scendono verso il basso: così, olio e acqua sono inseriti in tubi collegati a collettori connessi ad alcune vasche skimmer, cioè strumenti appositi per isolare l’acqua. La dividono dagli oli, la ripuliscono e la immettono nuovamente nella corrente.

Gli oli esausti in acqua

Secondo i dati di Legambiente ogni anno in Italia circa 280mila tonnellate di olio vegetale esausto resta inutilizzato e diventa rifiuto (‘olio e grasso commestibile’ è la dicitura corretta, il codice previsto dal Catalogo europeo dei rifiuti è CER 200125). Per la maggior parte si tratta di residui di frittura, prodotti soprattutto dalla ristorazione. Non è pericoloso per la salute dell’uomo ma se non smaltito nel modo corretto può causare danni all’ambiente, molti dei quali colpiscono proprio i corsi d’acqua e le strutture che li regolano – malfunzionamento degli impianti di depurazione e conseguente aumento dei costi su scala globale, potenziale inquinamento dei pozzi di acqua potabile. L’olio esausto inquina fiumi, mari e bacini idrici, mettendo in pericolo flora e fauna. Di pari passo, danneggia il suolo. Legambiente rileva come sia sufficiente un kg di olio vegetale esausto a inquinare una superficie d’acqua di 1.000 metri quadri. L’insidia è dovuta alla creazione di una pellicola che impedisce l’ossigenazione e filtra i raggi solari.

Conoe, il Consorzio nazionale di raccolta e trattamento degli oli e dei grassi vegetali esausti

Va tenuto da parte e riciclato: se ne occupa Conoe, il Consorzio nazionale di raccolta e trattamento degli oli e dei grassi vegetali esausti. È impiegato per produrre in genere biodisel, glicerina e prodotti utili all’edilizia. Prima, deve attraversare un processo chiamato rigenerazione. Per gli oli minerali, destinati ai motori, il riferimento è invece il Conou, Consorzio nazionale per gestione, raccolta e trattamento degli oli minerali usati. «Anche questi sono dannosi. Ci sono rifiuti oleosi nel Po – potrebbe essere dovuto ai chilometri di strade asfaltate che attraversano il territorio nazionale e sono spesso soggette a lavori. Subiscono l’aggiunta di strati o catrame. In ogni caso, con il tempo si usurano e i residui finiscono nei corsi d’acqua», prosegue Covolo. «Tutti gli idrocarburi che escono dai veicoli a motore si depositano nei fiumi o nei torrenti. Lo si vede senza difficoltà: quando piove si formano chiazze bluastre per le strade. Sono sostanze oleose». Lo stesso vale per gli pneumatici: «Poniamo che le gomme all’inizio del loro utilizzo abbiano un peso base 100. Una volta consumate registreranno un calo e avranno un peso di 90. Se mettiamo insieme la differenza di peso fra nuovo e vecchio e lo contiamo per i milioni di pneumatici che usiamo all’anno, abbiamo un’idea della gomma che si deposita sull’asfalto e da lì, con l’erosione e le piogge, finisce nei torrenti, nei fiumi e nei mari». Se le sostanze sono pesanti si fermano nei fossati e nei rigagnoli, ma tutto ciò che è più leggero confluisce negli affluenti. Difficile testare River Cleaning su questo aspetto: impossibile gettare deliberatamente oli in acqua. «Sarà necessario procedere con vasche chiuse», continua Covolo.

Inquinamento dello stretto di Messina 

«Il nostro sistema è applicabile, potenzialmente, su tutti i corsi d’acqua del mondo. Anche se il problema delle acque inquinate è soprattutto italiano. Qui c’è uno dei punti più inquinati in assoluto, cioè lo stretto di Messina. Nel Tirreno c’è la maggior concentrazione di frammenti plastici al mondo. È dovuto alla sua conformazione: molto chiuso, quasi un lago», prosegue. Sono oltre otto i milioni di tonnellate di plastica rilasciata in mare ogni anno nel mondo, secondo le stime del WWF. Nel Mediterraneo, stima l’organizzazione a tutela ambientale, le tonnellate sono circa 570mila, pari a 33.800 bottigliette gettate nel mare ogni minuto. Entro il 2050 si prevede che l’inquinamento nell’area arriverà a quadruplicarsi. Nel frattempo, la concentrazione di oggetti di plastica provoca ammassi di rifiuti galleggianti al largo delle acque marittime e oceaniche. La più grande è la Great Pacific Garbage Patch, che si sposta dalle coste del Giappone a quelle occidentali degli Stati Uniti. Tuttavia la Noaa – National Oceanic and Atmospheric Administration – precisa che ci sono tante ‘garbage patches’, cioè ‘macchie di immondizia’ la cui locazione è molto difficile da prevedere. Il report di Earthwatch Institute e Plastic Oceans ha inoltre stilato una classifica di quali sono gli elementi più inquinanti nei fiumi. In tutto dieci. Al primo posto ci sono le bottiglie, che rappresentano circa il quattordici per cento dei rifiuti identificabili trovati in acque dolci europee. Al secondo gli involucri per alimenti (dodici per cento) e al terzo i mozziconi di sigarette (nove per cento). Seguono i contenitori di cibo da asporto, I bastoncini in cotone, le tazze, i prodotti sanitari (pannolini, assorbenti, salviettine igieniche), il packaging da sigarette, cannucce e posate di plastica e infine sacchetti. Il report fornisce anche soluzioni alternative, che puntano a sostituire l’uso della plastica. Secondo i dati emersi, nel Regno Unito un abitante utilizza in media centocinquanta bottiglie all’anno. Al tempo stesso però sembra esserci speranza per i prossimi anni: circa il sessantacinque per cento delle persone si dice favorevole a pratiche plastic-free.

Lampoon: l’impegno di Vanni Covolo

Fermare gli oggetti intervenendo direttamente sui fiumi è complesso proprio perché, per farlo, si ostacola la navigazione. «Ma il nostro sistema la consente, così come lascia passare tronchi e rami. Abbiamo notato con il tempo che il problema non sono soprattutto i grandi fiumi, ma i piccoli corsi d’acqua. Tutti i piccoli fiumiciattoli sono un veicolo notevole per i rifiuti, quindi è necessario agire anche su quelli. Perché l’operazione sia efficace è però importante che possa procedere di continuo, senza fermarsi. In una località del Sud Est Asiatico c’è una cittadina di cui mi hanno parlato, con fiumiciattoli e canali. Uno è largo 15 metri e provoca uno sversamento di circa una tonnellata al giorno di plastica verso il mare. Per arginare il problema hanno reclutato una squadra di operatori che, retino alla mano, tolgono i rifiuti uno a uno. Funziona, ma solo di giorno finché c’è la luce». Il punto, dice Covolo, è l’autonomia del sistema, che intercetta il corso d’acqua – di per sé inarrestabile – senza bisogno di assistenza. «Ancora siamo poco conosciuti. Stiamo lavorando in questa direzione: abbiamo svolto alcuni test di efficacia e ci faremo riprese video che poi diffonderemo. Inoltre, vorremmo installare un esempio qui vicino alla nostra sede, a Bassano del Grappa. Così chi vuole potrà vederne il funzionamento dal vivo», prosegue Covolo. 

River Cleaning Bassano del Grappa

Lo staff di River Cleaning sta lavorando per avviare l’applicazione del sistema su alcuni corsi d’acqua italiani: «Stiamo cercando di prendere accordi con la municipalità del Sarno, per esempio, fra i più inquinati nonostante le sue ridotte dimensioni. Ma anche in Trentino Alto Adige, in Toscana».  

Elisa Cornegliani

L’autore non collabora, non lavora né partecipa, non riceve compensi né finanziamenti, da alcuna azienda o organizzazione che possa ricevere vantaggi economici o di sorta dalla pubblicazione di questo articolo.

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